IL CAREGÓN DEL PADRETERNO E ALTRE STORIE (PRIMA PARTE)

Ho sempre ritentuto che andare in salita non fosse un’attività dignitosa per un gentiluomo.
In più soffro l’altitudine: sopra i 1.600 mi manca l’aria, mi si abbassa la pressione e vedo nero.
Sono un uomo di pianura. L’orizzonte piatto mi dà stabilità e mi rifugio nella nebbia come altri si avvolgono nel piumone.

Nonostante gli sforzi di Nonno Motografo non sono mai diventato davvero un montanaro. Fino a un paio d’anni fa se mi avessero detto che avrei passato un’intera settimana in montagna mi sarei messo a ridere istericamente.

E allora cosa ci faccio qui a duemilaequattro, con i piedi a penzoloni nel vuoto cercando di capire se quello che vedo su quella roccia cinque metri sotto sia un segno di via o una macchia di licheni stranamente circolare?

Il fatto è che da qualche anno trascorro gran parte dei miei giorni liberi a scarpinare su e giù per i sentieri della Val Di Zoldo e ho scoperto la gioia che può dare l’ascesa verso le vette, sebbene resti convinto che gran parte dell’euforia che si prova in montagna si debba essenzialmente alla mancata ossigenazione del cervello.

Alzi la mano chi sa dove si trova la Val di Zoldo.
Ok, adesso alzi la mano chi sapeva dove fosse prima di cliccare sul link… Non mentite!

Il Maè, affluente di destra del Piave, ha un corso di poco più di 30 kilometri. La valle che scava è nota, nella parte alta, come Val di Zoldo e, più in basso, con il nome di Canale del Maè.

Dalla Tangenziale di Mestre si prende la A27 sino a Ponte nelle Alpi e da lì la statale dell’Alemagna (SS 51) fino a Longarone.

Per essere appoggiata sulle pendici delle Dolomiti, Longarone ha un aspetto ben strano, dominata com’è da strani palazzi brutalisti in nudo cemento armato annerito dalle piogge e dal tempo.
La cosa non deve stupire.
Chi, arrivando da sud, avesse buttato l’occhio verso la sponda friulana del Piave avrebbe visto, appena a sud del centro del paese, un’alta diga fare capolino da una stretta gola. Si tratta della tristemente famosa diga del Vajont, da cui nel 1963 piovve un’onda di trenta milioni di metri cubi d’acqua che cancellò quasi del tutto l’abitato di Longarone e uccise quasi 2.000 persone.

Dopo il disastro, la ricostruzione. Come sarebbe accaduto qualche anno dopo a Gibellina, non basteranno l’intervento di grandi nomi dell’architettura nè un progetto all’avanguardia per ricostruire l’anima di un paese ferito a morte.

Longarone, oltretutto, sembra scontare una maledizione legata alle dighe.
Risalendo la Canale del Maè, infatti, dopo pochi kilometri incontriamo la diga di Pontesei. Qui nel ‘59 si verificò un Vajont i miniatura: una frana fece tracimare il lago artificiale uccidendo l’operaio di guardia all’impianto.

Proseguendo lungo la Canale all’ombra dei monti del Gruppo del Bosconero si sfiorano piccole frazioni che vedono di rado il sole (ma in compenso a Mezzocanale si può mangiare da Ninetta).
Dopo una quindicina di kilometri nei pressi della località delle Boccole (sede di un leggendario all you can eat di polenta e spezzatino il cui nome preannuncia il modo in cui i clienti passeranno la notte successiva) una galleria passa sotto l’ultima propaggine occidentale del Bosconero e immette nella vera e propria Valle di Zoldo.

Spitz di Mezzodì da casa del Merino

La valle è più ariosa della Canale, ma è dominata da vette imponenti.
Il Maè lungo il suo corso lascia alla sua destra (sinistra, per noi che arriviamo dal Piave) il Civetta, la Moiazza, il gruppo Tamer-San Sebastiano e il gruppo Mezzodì-Pramper; alla sua sinistra (destra, per noi) il Monte Pelmo ed il Pelmetto, il piccolo Punta e, dove la Val Zoldana diventa Canale, il Gruppo del Bosconero.

12-08-2015 - 0007 - Civetta dal versante del Coldai

Ecco, la cima rocciosa su cui mi avete trovato all’inizio di questo racconto è il primo contrafforte (primo venendo dalle sorgent del Maè) del gruppo del Civetta.
Si chiama Cima Coldai e faticherete a trovarla sulle cartine e sulle guide perchè, con i suoi 2.403 metri slm, è poco più di uno gnomo ai piedi delle gigantesche torri del massiccio principale che superano i 3.200.

Ma come capita spesso, anche una montagna piccola regala panorami meravigliosi.

12-08-2015 - 0005 - Dove osano le cornacchie (cima del Coldai)

In particolare da qui si guarda negli occhi la parete Nord-Ovest del Civetta, leggendaria nella storia dell’alpinismo e ancora oggi teatro di nuove imprese.

12-08-2015 - 0006 - La via in discesa (lago Coldai dalla cima del Coldai)

Ma non solo. Ai nostri piedi riluce il verde Lago Coldai e poi lo sguardo spazia a 360° sui pianori della Forcella di Alleghe, sui Lastioi di Formin, sul Mondeval e sul Corvo Alto e, soprattutto, sulla mole compatta del Pelmo: il Caregón del Padreterno.

12-08-2015 - PANO 0001 -  Pelmo e le montagne oltre il Passo Staulanza

Carèga, in Veneto, significa sedia. L’etimologia è, ovviamente, la medesima del Lombardo Cadrega. Caregón, quindi, è il seggiolone, il trono del Padreterno.

Ma da qui non si capisce fino in fondo la ragione di questo buffo soprannome.

E allora è il caso di scendere. La macchia che stavo osservando prima è effettivamente uno di quelli che la guida definisce sbiaditi bolli rossi e, anche se a prima vista sembrava uno strapiombo verticale, esiste effettivamente un sentiero che in pochi minuti porta sulle rive del Lago Coldai (2.172 mslm). Da qui si scende al Rifugio Sonnino, alla Malga Pioda e poi, incrociando le piste da sci,all’attacco della funivia a Palafavera.

Ripresa la macchina si torna a valle sino a Forno di Zoldo, senza dimenticarsi di fare una sosta nella frazione di Dont per riempirsi di gelato con i frutti di bosco.

Macchina? Come sarebbe a dire macchina?!?
Avete ragione. Ed è un vero peccato.
Le strade di queste montagne offrono alcuni dei percorsi motociclistici più belli che io possa immaginare, ma io non ci sono mai venuto in moto.
Sono tanti i motivi, ma il principale è che la moto non è il mezzo ideale per muoversi quando si vogliono fare escursioni in montagna: una volta arrivati alla base del sentiero, infatti, caschi, guanti e protezioni varie rappresenterebbero un problema.

Dalla periferia di Forno si prende la provinciale 7 che porta a Zoppè di Cadore. Passata la frazione di Dozza non potete più sbagliare: si oltrepassa il torrente Ru Torto e risalendone la valle si comincia a salire su un ripido pendio dominato dalla mole aguzza del Monte Punta.
Si supera il cimitero e in pochi tornanti si giunge al paese.

Zoppè è un paese di artisti. Il più illustre è il pittore Fiorenzo Tomea, ma sono molti gli zopparini che si sono cimentati nella produzione artistica: dal pioniere della fotografia Mastro Vittorio Celo Sagui al pittore e scenografo Masi Simonetti sino all’artista del legno Merino Mattiuzzi.
C’è chi imputa questa straordinaria densità di artisti alla bellezza ispiratrice del paesaggio circostante, chi ad uno spirito emulativo che si tramanda di generazione in generazione e chi si rifugia dietro la generica espressione Genius Loci. Ma c’è anche chi ipotizza che un ruolo cruciale l’abbia giocato la pala d’altare attribuita a Tiziano che orna da sempre la chiesa di Sant’Anna ispirando gli abitantidi Zoppè.

Dopo aver reso omaggio a Tiziano proseguite e lasciate l’auto dalle parti dell’eliporto che sovrasta il paese. Incamminatevi nel bosco seguendo le indicazioni per il rifugio Talamini.
Per poco meno di un kilometro si cammina sulla strada asfaltata che porta al rifugio e da lì scende a Vodo di Cadore, ma la si lascia presto, in corrispondenza di un belvedere, per prendere la vecchia strada militare – oggi sentiero CAI 471 – che sale con ampi tornanti in un bosco di Larici.
La strada prosegue quasi dritta sotto la muraglia rocciosa del Monte Penna salendo senza grossi strappi sino a un punto panoramico impressionante.

10-08-2015 - PANO 0001 - Pelmo dal sentiero del Venezia

È da qui che si capisce davvero la ragione del soprannome del Pelmo.
La vetta (3.162 mslm) si innalza appena dalla larga cresta che unisce la spalla est (3.024) e la spalla sud (3.061). Sul versante Nord Ovest la cresta piomba a valle con una serie di ripidissime pareti rocciose appoggiate su un ghiaione lunare; a Sud la Fisura separa il Pelmo dal Pelmetto, più basso del fratello maggiore ma altrettanto massiccio mentre a Est la Forcella di Val d’Arcia lo separa dalle Crode di Forca Rossa.
Ma qui sul versante Sud Est sotto la cresta si apre un vasto circo glaciale, il Vant, che scende dapprima quasi verticale e poi con una pendenza sempre più dolce creando una sorta di gigantesca sedia che, secondo la leggenda, Dio costruì per riposarsi un attimo dopo avere creato le Dolomiti.

Nubi sul Pelmo - 2

Salire sulla sedia del Signore, come immaginerete, non è una cosa semplicissima.
La via più battuta passa per la Cengia di Ball. Di Ball non è una definizione dialettale per sottolinearne la difficoltà; si chiama così in onore dell’irlandese John Ball che per primo giunse in vetta nel 1857.

Io non sono mai salito fino in cima. Dico sempre di volerlo fare ma più vedo video come questo meno ne sono convinto…

Vale però la pena di proseguire ancora per una mezzoretta fino all’attacco della via che porta in vetta.

0020 - Salita al Rifugio Venezia - Dalla casa del Leone

Superiamo il bivio per la Malga Rutorto tenendoci a monte e presto la carrareccia militare piega a destra (diventa il 480) e si trasforma in un sentiero che attraversa dei pascoli attraversati da ruscelli e pozze di risorgiva.

Si cammina ancora pochi minuti facendo un rapido su e giù finchè, in cima a un montarozzo, compare il rifugio Alba Maria de Luca, meglio noto come Il Venezia.

0014 - Salita al Rifugio Venezia - Bivacco invernale

Dalla terrazza del rifugio si ha un colpo d’occhio impressionante sul monte Antelao, il gigante che domina la Valle del Boite.

10-08-2015 - PANO 0002 - Antelao dal Venezia

Ma a rubare la scena è il Pelmo alle nostre spalle. Siamo proprio ai piedi del trono e possiamo seguire con l’occhio e con il dito tutto il percorso della via di Ball che parte proprio a pochi metri da qui.

0013 - Salita al Rifugio Venezia - Monte Pelmo

Sono molte le scelte davanti a noi. Non volendo affrontare l’ascesa alla vetta, potremmo proseguire sul sentiero 480 e, attraverso un tratto attrezzato noto come Sentiero Flabiani, alla Forcella Val d’Arcia con il suo panorama impressionante. Oppure potremmo ritornare sui nostri passi, lasciarci a sinistra il 471 e proseguire verso il Pelmetto o verso il Punta.
Ma per oggi abbiamo già fatto abbastanza strada. E poi c’è ancora un posto che voglio farvi conoscere.

Ritornate verso Zoppè, praticamente all’eliporto. Avete notato le caprette vallesane che pascolano sulla scarpata? Le mucche grigio-alpine che guardano il tramonto sul Civetta?
Allora avrete notato anche la Malga Livan.
Qui troverete Deborah e Alessandro. Ascoltandoli parlare non potrete non essere contagiati dalla loro passione per gli animali e per la montagna. Ma soprattuto per il latte ed il formaggio.

Un post condiviso da Il Motografo (@ilmotografo) in data:

E se non basteranno le loro parole, saranno i loro taglieri a convincervi. Certe caciotte di latte crudo, certe ricotte, certi speck…

Non vi piace il formaggio? Non so perchè io perda tempo a parlare con voi, onestamente, ma c’è una soluzione anche per voi (oltre alle crostate di Deborah, intendo).
Scendete verso Forno, ma fermatevi un paio di curve prima, a Dozza.

Qui oltre alla bella chiesa gotica di San Floriano (X secolo) troverete la pasticceria Baldini con il suo strudel leggendario che concluderà degnamente la nostra (prima) giornata in Zoldo.

(CONTINUA)

Nota: Ninetta, L’Insonnia, la Gelateria Pelmo, la Malga Livan e la Gelateria Baldini non mi danno, purtroppo, un euro. Non si tratta di pubblicità interessata. Anzi, non vorrei mai trovarci troppa folla. Però datemi retta, se passate da queste parti non mancateli e mi ringrazierete.

[ssba]

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