IL CAREGÓN DEL PADRETERNO E ALTRE STORIE (SECONDA PARTE)

La sveglia suona presto per iniziare il nostro secondo giorno in Val di Zoldo.
Prendendo Forno come base per i nostri spostamenti, io vi avrei suggerito di fermarvi a dormire all’Hotel Posta, dove la robusta colazione servita da Italo vi rimetterà al mondo e i suoi consigli renderanno superfluo il mio lavoro.

Appena finito di mangiare ci allacciamo gli scarponi e saliamo in macchina (se non sai perchè sto parlando di macchine clicca qui).
Anzi, prima recuperiamo un paio di panini e dell’acqua, che ne avremo bisogno.

Ci dirigiamo verso Zoldo Alto e poi ancora più su, oltre Palafavera. Qui la montagna decide di strappare di colpo e la provinciale 251 si fa ostica con quattro o cinque tornanti che con neve e ghiaccio possono essere poco amichevoli. Ma niente paura, la strada torna subito più gentile.

Passiamo un ultimo tornante. Da cui si dirama un bel sentiero pianeggiante che porta alla Malga Fontana Fredda e, volendo, permette di scendere verso Alleghe all’ombra del massiccio del Civetta. Una deviazione consigliata soprattutto in inverno dopo una nevicata, quando i percorsi più impegnativi diventano meno agevoli.

0038 - Malga Fontana Freda - Parelio

Ma oggi proseguiamo ancora qualche centinaio di metri, fino al Passo Staulanza.
Il valico, tra le pendici del Pelmo e il Monte Crot, mette in comunicazione la Zoldo e la sua valle con Selva di Cadore e la Val Fiorentina.

Lasciamo la macchina sul passo e,dando le spalle al rifugio, scavalchiamo il recinto delle mucche e ci addentriamo nel bosco. Dopo pochi passi un cartello ci aiuta ad orientarci davanti al primo bivio. Noi puntiamo a sinistra seguendo per Val d’Arcia.

Da qui in poi dobbiamo stare attenti e tenere il sentiero un po’ più a monte, che è quello che ci consentirà, più avanti, di fare un po’ meno fatica.

Lastioi di Formin e pianoro di Mondeval dai ghiaioni del Pelmo

Il nostro sentiero sale dolcemente in un paesaggio che presto si fa lunare. Sopra di noi la parete nord-ovest del Pelmo (il didietro dello schienale del trono, insomma) piomba verticale in un ghiaione morbido e brullo.
È proprio sul ghiaione che ci stiamo muovendo. Naturalmente bisogna muoversi con cautela e rispetto sia per evitare di smuovere troppo le pietre creando piccole frane spiacevoli sia perchè facendo silenzio può capitare che un camoscio o una marmotta, per nulla impauriti, facciano capolino dalle rocce sopra di noi.

I ghiaioni del Pelmo

Questo è forse il tratto meno frequentato di tutto il giro del Pelmo e c’è qualcosa di davvero sraniante nel procedere in questo ambiente ostico e straordinariamente affascinante. Le auto sulla statale poco sotto di noi, le persone, i paesi a fondo valle; tutto sembra sparire e, anche se siamo partiti da poche decine di minuti si può avere la sensazione di muoversi in un continente disabitato, in un ambiente intonso ed inadatto alla vita umana.

Ghiaione e piccolo nevaio sul Pelmo

Il sentiero che stiamo percorrendo è abbastanza facile, ma è lungo e tutto allo scoperto. Io vi consiglio di farlo di mattina abbastanza presto onde evitare che il sole a piombo lo renda un inferno, ma molto dipende dalla stagione: in autunno è possibile che i nevai che si formano nella parte più in alto rendano complicato avanzare.
In ogni caso richiede un minimo di preparazione fisica. Se siete pigri o avete dei bambini piccoli aspettateci sui prati del passo, che al ritorno ci saranno delle belle sorprese per tutti.

In poco più di un’ora si arriva all’altro capo della parete, nei pressi della Forcella Forada, su un pianoro dove un po’ di erba ispida riesce finalmente a far capolino tra le rocce. La tentazione di fermarsi qui, godendosi la vista sulla Val Fiorentina e sul Cadore è forte, ma siamo solo all’inizio…

Panorama sulla Val Fiorentina dalla Forcella Forada

Sopra di noi il ghiaione si fa ripido e il sentiero (cai 480) inizia a salire sul serio. Sopra di noi, a destra, la spalla est del Pelmo con i suoi tremila e rotti metri, a sinistra i duemila seciento e passa delle Cime di Val d’Arcia. In mezzo il paesaggio del ghiaione torna lunare. Pietroni aguzzi biancastri e, nelle conche più ombrose, nevai che sopravvivono tutto l’anno nonostante il caldo.

Ghiaioni sotto la forcella Val D'Arcia

Ripido sì, faticoso sì, ma il sentiero è tutto sommato facile, soprattutto in salita, e non ci vuole moltissimo per arrivare alla Forcella di Val d’Arcia. Non so dire perchè. Sarà l’altezza (2.476 mslm), sarà la fatica della salita, ma quando sono arrivato qui ho avuto, onestamente, un capogiro.

La Forcella mette in comunicazione il versante Nord-Ovest del Pelmo con il versante est. Alle nostre spalle i Lastioi di Formin e la Val Fiorentina. Davanti a noi il Monte Rite e più in fondo la sagoma maestosa dell’Antelao. Da qui si potrebbe scendere attraverso una sentiero attrezzato (una sorta di ferrata) sino al Rifugio Venezia e, da lì, tornare al punto di partenza completando il giro del Pelmo. Il fatto è che quando ho compiuto questo tragitto la ferrata era chiusa per una frana e non si poteva proseguire.

Allora torniamo sui nostri passi.
Per quanto io mi sia sempre lamentato della mia incapacità di andare in salita, la vera verità è che io sono lento soprattutto in discesa. Ho sempre la sensazione di mettere un piede in fallo, mi indurisco e arrivo giù con le ginocchia che fanno Giacomo Giacomo e i quadricipiti in fiamme.
Per questo a scendere dalla Forcella di Val d’Arcia alla Forcella Forada ci metto almeno quanto a salire.
Una breve sosta sul pianoro. Approfittiamone per fare qualche foto e mangiarci quei famosi panini e poi ricominciamo a scendere.

Val Fiorentina dal 480

Non per il 480 da cui siamo venuti, che sarebbe noioso, bensì, seguendo le indicazioni per il rifugio Città di Fiume, per un sentiero attrezzato facile facile ma che vi permetterà di menarvela perchè avete fatto la ferrata. All’andata sarebbe stata una vera grana, ma in discesa questa deviazione ci permette di tornare alla quota di partenza in pochi balzi.

Pochi metri dopo la fine del cavo d’acciaio si incontra il sentiero 472 che corre perfettamente piano e parallelo a quello che abbiamo fatto all’andata e che noi seguiremo per tornare al Passo Staulanza.

Appena prima del passo, salendo su una piccola collinetta erbosa, si trova l’ingresso di una galleria artificiale scavata nella roccia. In fondo due aperture permettono di osservare la strada. Da qui si vede il parcheggio dove avete lasciato la macchina. Scommettiamo, però, che da giù non riuscirete a vedere questa apertura?

Si tratta di una postazione di tiro della Grande Guerra. Nascosti nel ventre roccioso della montagna, gli Alpini potevano avvistare eventuali movimenti degli Austriaci e cannoneggiarli prima che avessero il tempo di valicare il passo per riversarsi in Zoldo.

Come la maggior parte delle fortificazioni della valle, anche questa rimase praticamente inutilizzata a causa dell’evolversi degli eventi bellici che spostarono il fronte altrove. Rimane però un documento straordinario e drammatico degli sforzi e delle sofferenze che la guerra portacon sè anche quando poui non viene combattuta.

Questo primo tuffo nel passato, di un centinaio di anni, è solo un aperitivo di quello che ci aspetta, di almeno duecento milioni di anni.

Avete ancora un po’ di energia nelle gambe?
Allora fate un fischio agli amici coi bambini che ci aspettavano giù nel pratone che si riparte!

Niente paura, stavolta sono davvero quattro passi. Si prende il sentiero che gira intorno al Pelmo, ma stavolta nella direzione opposta.
Camminiamo per meno di un’oretta nel bosco, facendo un piacevole saliscendi aiutati da passerelle di legno che aiutano a superare i tratti in cui quando piove si formano dei rigagnoli. Quando il sentiero esce per un attimo allo scoperto, un cartello ci avvisa che sopra le nostre teste si trovano le Orme dei dinosauri.

16-08-2015 - 0003 - Monti dal sentiero dei dinosauri

Un ultimo sforzo. Bisogna salire un per un cento, centocinquanta metri su un sentiero bello ripido, ma ne vale la pena.
Un enorme masso franato dalla parete del Pelmetto domina questa specie di ripida conca.
Qui attorno al ‘70 Vittorino Cazzetta, ha scoperto tre piste di orme appartenenti a tre diverse specie di dinosauri: un carnivoro dell’ordine dei coelurosauri, un ornitischio ed un grosso prosauropode erbivoro.

Sapendolo appare ovvio che quelle file di coppie di buchi nel roccione siano piste lasciate da qualche animale, ma provate a immaginare che non ci siano tutti questi cartelli esplicativi. Provate a immaginare di essere qui solo per fare un giro in montagna e ditemi, sinceramente: avreste capito di avere davanti una delle più importanti scoperte della paleontologia italiana?

No, vero? Eppure Vittorino Cazzetta l’ha capito. Cazzetta era un montanaro. Operaio di mestiere, con una licenza media conseguita sotto le armi e nessuna altra qualifica. Ma uno di quegli uomini per cui la passione vale più di mille scuole. Appassionato escursionista, fotografo, geologo e paleontologo autodidatta, Cazzetta ha avuto un ruolo fondamentale in tante delle importantissime scoperte archeologiche fatte nel secondo dopoguerra sulle Dolomiti.

Di Vittorino parleremo ancora, ma ormai voi sarete stravolti.
Tornate a Forno e concedetevi una pizza con il pastin al Camino Nero o una cena un po’ più raffinata alla Tana de l’Ors (mi ringrazierete), ma andate a letto presto, che domattina ci aspetta una nuova avventura!

NOTA: L’Hotel Posta, il Camino Nero e la Tana de l’Ors, come sempre, non mi hanno chiesto di far loro pubblicità. Però penso che sia mio dovere anche dirvi dove mangiare e dove dormire, se voglio che la vostra esperienza sia bella quanto la mia, no?
Ah, se l’Hotel Posta, il Camino Nero e la Tana de l’Ors volessero coprirmi d’oro (o almeno di marmellata, pizza e spezzatino di cervo) potrebbero farlo scrivendomi qui.

[ssba]

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