Ci si può anche dividere
L’abbiamo fatto tutti un viaggio in gruppo, vero? Uno di quelli in cui si parte in dieci/quindici persone.
Amici, amici degli amici, amici degli amici degli amici che non conosce nessuno.
Coppie e single mischiati. Maniaci dei musei, dello sport, delle discoteche.
E sistematicamente si finva a litigare, mandarsi al diavolo, sfinirsi in votazioni che a confronto le assemblee di Lotta Continua duravano poco.
E più le condizioni del viaggio sono difficili, più gli scazzi aumentano.
Eppure nel 2004 siamo riusciti ad attraversare i paesi del Baltico in pullman. Viaggiando da Tampere a Varsavia senza accoltellarci a vicenda.
Dodici persone. Tre coppie, sei single. Amici di vecchissima data e persone conosciute da poco.
Come abbiamo fatto?
Ci si può anche dividere.
Amico P. ripeteva questa frase come un mantra ogni mattina, appena prima di fare colazione.
– Vorrei andare al museo del KGB, che ne dite?
– Ci si può anche dividere.
– A me piacerebbe fare tre ore e mezza di autobus per andare a vedere il confine russo.
– Ci si può anche dividere.
– Stasera andiamo a ballare?
– Ci si può anche dividere!
Certo, in questo modo siamo tornati a Milano in sette modi diversi, ma posso ragionevolmente affermare che nessuno di noi ha da recriminare più di tanto sull’aver fatto o non fatto qualcosa per venire incontro alle esigenze degli altri.
Segui il ritmo
È sempre tutto chiuso?
Non c’è mai un posto dove mangiare che non sia il McDonald’s della stazione?
Non c’è vita nelle strade, mai, nemmeno al sabato sera?
Probabilmente è perchè non stai seguendo il ritmo del posto in cui ti trovi.
Sei libero di fare l’italiano medio che non cena mai prima delle 21.00 o pretendere di seguire il fuso orario di Barcellona e non iniziare una serata prima di mezzanotte ma se ti trovi a Bergues, nel Nord-pas-de-Calais, non puoi lamentarti di trovare tutto chiuso.
Questo vale quasi sempre, a meno che tu non sia a Stoccolma.
A Stoccolma puoi sforzarti quanto vuoi, puoi seguire la guida, i consigli di chi ti ha affittato la camera o molestare i passanti in centro per sapere dov’è che c’è la vita, ma il massimo che troverai è un anonimo locale medio-triste che, comunque, sta sempre per sbaraccare l’ultimo tavolo.
La Lonley planet non mi avrà più!
Ma anche la Routard.
La Lonley sconta un problema principale: la totale mancanza di informazioni sulle attrazioni dei luoghi.
Può essere buona per sapere dove dormire e dove mangiare, ma spesso non riporta alcuna informazione su quello che c’è da vedere in un posto.
Quando va bene viene giusto citata l’attrattiva principale, senza approfondire, quando va male cita solo pub, alberghi e ristoranti.
Pub alberghi e ristoranti, poi, sempre uguali in tutto il mondo.
Che sia Port-aux-Français, Karasjok, Hanga Roa o Nikol’skoe, la Lonley saprà sempre indirizzarvi in un pub inglese dove potrete bere una Bulldog Strong Ale e guardare repliche della Football League Championship con telecronaca nella lingua locale.
Alla Routard posso riconoscere il beneficio del dubbio, ne ho avuta una sola e mi è bastata.
Sarà la traduzione, sarà stato un errore di battitura, ma quando ti fai 140 kilometri d’auto in un giorno per andare a fare il bagno in “una delle poche spiagge di sabbia della Croazia del nord” e ti trovi su una distesa di ciottoli grandi come la testa di un bambino il desiderio di uccidere qualcuno si fa irresistibile.
Ma poteva andare peggio, dai. Poteva piovere. E infatti ha piovuto.
Malpensa is not Italy!
Milano Malpensa.
Che non è Milano nemmeno per scherzo.
Niente mi leva dalla testa che l’abolizione delle province per cui tanti si sono spesi avesse come unico obiettivo la cancellazione di questa semplice verità: Malpensa è in provincia di Varese, quasi più vicino al confine svizzero che al centro di Milano.
La mia percezione, lo ammetto, è causata soprattutto dall’impossibilità di raggiungere il Terminal 2 (da cui partono gli aerei da pezzente che prendo di solito) in modo sensato.
Fino a un paio di mesi fa, infatti, giunti con il Malpensa Express all’aeroporto era necessario attendere un’odiosa navetta puzzolente di nafta che faceva dodicimila fermate prima di poter scendere nel terminal più disorganizzato e privo di servizi d’Europa.
Oggi, dicono, il trenino malefico arriva direttamente al T2, quindi la mia opinione potrebbe anche cambiare, ma non ci conterei troppo.
Mangia come loro
Niente spaghetti in Danimarca, niente pizze in Giappone.
Per quanto possibile io cerco di mangiare come gli abitanti del luogo.
Se possibile anche con loro, nei posti in cui mangiano loro.
Se ho la possibilità di cucinare in casa o sul fornello da campo, compro per quanto possibile quello che mangiano i locali, anche se poi me lo cucino un po’ come riesco senza alcuna pretesa di filologia…
Però, dai… niente pasta portata da casa, niente fiasco di chianti legato alla cintola!
Flâner pour comprendre la ville
Flâner: passeggiare, ma forse la traduzione più corretta sarebbe vagabondare senza meta per la città.
Io ho sempre avuto l’ansia di perdermi qualcosa.
Insomma, sei per la prima volta in vita tua a Parigi, a Tokyo, a Barcellona Pozzo di Gotto o a Castelletto di Branduzzo. Hai solo tre giorni e non sai se avrai mai occasione di tornarci…
È ovvio che tu ti immerga nella guida e ne esca con un programma serratissimo di cose da vedere: musei, monumenti, chiese.
Una marcia forzata senza requie e senza possibilità di deviare.
Gravissimo errore.
Da qualche anno ho imparato a portarmi anche in viaggio l’indole da flâneur che ho sempre avuto a Milano. Passeggiare senza meta o quasi per un quartiere guardandomi intorno, cercando di sentire, di percepire qualcosa sugli spazi che attraverso e che, per forza di cose, non posso pensare realmente di vivere..
Se ne ho il tempo – o se non è la prima volta che visito una città – dedico una mattinata, un giorno intero a questo vagabondare assorto; se ho i minuti contati cerco per lo meno di spostarmi da un’attrazione all’altra a piedi, con i sensi attivi e senza troppa premura.
Queste cinque regolette sono la risposta a una sorta di gioco lanciato da The DAZ Blog a cui mi ha invitato Claudia di Voce del verbo partire.
Normalmente non partecipo a questo tipo di catene, non raccolgo sfide e non ne passo ad altri.
Un po’ perché cerco di mantenere una certa “essenzialità” nei contenuti di questo sito e molto perché da buon sociopatico parlo di più con la mia motocicletta che con gli altri blogger.
Ma questa volta ho deciso di fare un’eccezione, anche perché era da parecchio che avevo in mente di scrivere qualche articolo sulla mia “mentalità” di viaggiatore e organizzatore..
E sì, prima che siate voi a malignare, è anche perché durante l’inverno non ho mosso più di tanto la povera Aiko e sono un po’ in debito d’ossigeno per quanto riguarda gli itinerari da raccontarvi.