Category Archives: Intervallo

Intervallo

INTERVALLO: I BUONI PROPOSITI PER L’ANNO SCORSO

I buoni propositi per l'anno scorso

Non sono mai stato tipo da lista di buoni propositi ad inizio anno.
sia perché a dispetto del mio essere all’apparenza un cagadubbi freddo e metodico, in realtà sono un casinista una persona istintiva; sia, soprattutto, perché ho sempre odiato la sensazione di frustrazione che ti prende a fine Dicembre quanto ti accorgi che non hai rispettato nemmeno uno dei punti nella lista dell’anno precedente.

Magari hai fatto un sacco di cose buone. Hai superato quella fobia che ti impediva di indossare maglioni bordeaux, hai imparato a pronunciare la erre, hai ottenuto un aumento e, insomma, hai migliorato la tua vita in tutti i modi possibili. Però, dannazione, non hai iniziato a lavare i piatti subito dopo mangiato, non hai messo in ordine il cassetto delle cravatte e non hai nemmeno completato quel corso online di tedesco che inizi tutti gli anni.
E a quel punto ti senti un fallito che non ha combinato nulla.

Da un paio d’anni, però, ho ceduto anche io.
Piccole liste, di pochissimi punti. Specifici e facilmente realizzabili.
Magari raggruppati per temi: una lista per il lavoro, una per la casa…
E, ovviamente, una per il Motografo.

Ecco quella del 2017:


* Fare più gite. In moto, ma anche in auto o a piedi, basta andare in giro.
* Pubblicare tutti i mesi un articolo su Milano.
* Iniziare ad usare l’
action cam e corredare tutti gli articoli con almeno un video.
* Continuare a pubblicare con costanza, tutte le settimane.

Che ci vuoi fare? Il lavoro, il meteo, il tight in tintoria, le cavallette…

E quindi?
Quindi clicco con il destro su buonipropositi2017.txt e lo rinomino in buonipropositi2018.txt

Buon anno a tutti, vi prometto di tornare con più assiduità sin da Gennaio.
E se non ci dovessi riuscire, ne riparliamo nel 2019!

Buoni Propositi

Intervallo

INTERVALLO: NON C’È CAMPO!

Non c'è campo! Contro la schiavitù dell'interfono!

– Buongiorno, ditemi…
– Salve. Guardi, noi abbiamo comprato l’altra settimana questo interfono per poter parlare tra di noi mentre siamo in moto, ma purtroppo non funziona più.
– Vediamo un po’… le pile funzionano, sì?
– Sì, sì… le ho già cambiate tre volte. Ma funzionano, vede? Il led si accende. Lei
– dice indicando la moglie – mi sente benissimo quando parlo, ma io non sento niente. Gracchia e fruscia.
– Eppure sembra tutto a posto qui… Non capisco…
– Si, se lo provo da fermo funziona, ma appena siamo in movimento non si capisce più nulla…
– Ma guardi, davvero, non riesco a capire dove possa essere il problema. Mi sa che lo dobbiamo mandare in assistenza. Ce l’ha lo scontrino?
– L’ho lasciato nel sottosella.
– Si rivolge alla moglie – Tesoro, riesci a prendermelo tu? È nello zainetto…. Grazie…
Abbassa di colpo il tono della voce, si fa confidenziale
– Non ha niente quel coso. Funziona benissimo. Ma lei mi deve aiutare, io non ce la faccio piu. Parla, parla, parla in continuazione. Mi fa passare la voglia di andare in moto. Lei deve tenermi il gioco. Dire che è rotto e che non si può riparare. E che non ne esistono altri per i nostri caschi. La prego, mi aiuti lei….

Ho sentito con le mie orecchie questo discorso in un piccolo ma importante negozio di caschi di Milano alcuni anni fa, ma sto ridendo ancora oggi.
Non ho mai avuto problemi con passeggere loquaci – anzi – ma non ho intenzione di cadere vittima della dittatura dell’interfono.

Perchè l’interfono, è un attimo, si collega al telefono.
E se il telefono è collegato ti tocca rispondere.
Lo sappiamo tutti che prima o poi ci sarà l’emergenza* che ti costringe a rispondere, no?
E sappiamo tutti che la reperibilità è come l’eroina: dà subito dipendenza (a chi ti cerca).

E va a finire che tu sei lì, beato, che ti godi finalmente una strada di collina tutta pieghe morbide quando la Cavalcata delle Walkirie ti risuona nel casco.

Non c'è campo!

– Pronto dottore… No, ci mancherebbe! Non mi disturba affatto!

Una prospettiva orribile, non trovate?
E potrebbe andare peggio. Una volta schiavi della reperibilità continua si finisce come il più cretino dei Milanesi Imbruttiti, con il cellulare incastrato tra la guancia e il casco.
Tutte le mattine incontro esemplari di questa specie.

Pseudomanager ultracinquantenni superabbronzati sui loro riprovevoli Tmax con lo scarico Arkapovic da ventottomila decibel e signore altoborghesi a bordo di liberty con bauletto di vimini made in Santa.
Tutti con sto benedetto iPhone incastrato sotto il casco che parlano, parlano e parlano.
Saranno primari, ti dici.
No.
Alti commissari dell’ONU impegnati a risolvere una volta per tutte il problema della fame nel mondo?
Nemmeno.

Quando li affianchi al semaforo scopri che, immancabilmente, stanno spettegolando o organizzando il calcetto del martedì…

*= Sia chiaro, mi occupo di pubblicità. Nel mio lavoro emergenza indica una vasta gamma di situazioni molto diverse tra loro, accomunate sostanzialmente dal fatto di essere completamente irrilevanti per l’umanità e, spesso, anche per i clienti stessi.

Intervallo

INTERVALLO: LOUDER PIPPAS

Lauder pipes save lifes

Stanotte ho fatto un sogno.
Avevo appena fatto il foglio rosa e stavo andando a comprare la mia prima moto.
Nel sogno dovevo anche essere diventato ricco, si vede, perchè la stavo prendendo nuova.
Non vi dico quale perchè mi vergogno del mio inconscio, onestamente.

Ce lo mettiamo su un bello scarico?
Mi dice il concessionario.
Aggiungi un millino*, ma poi ti tiene il valore nell’usato. E poi – e qui mi fa l’occhiolino complice – louder pipes save lifes.

Mi sono svegliato urlando, al pensiero di quella specie di vacca obesa equipaggiata con la petomarmitta di Supergiovane.

Ma una pulce nell’orecchio mi rimane.
Louder pipes save lifes.
Te lo ripetono in continuazione i sostenitori dello scarico aperto i costi.
Ultraquarantenni su moto da €30000 che si divertano a pistolare le marmitte come fanno ragazzini con il booster.

La gente è distratta – ti dicono – guida con la testa da un’altra parte. Il cellulare, l’autoradio, il navigatore. L’unico modo che hai per fargli capire che stai arrivando e fare più rumore possibile, per attirare l’attenzione.
Ragionamento che potrebbe anche convincermi, anche se arrivare alle spalle di un automobilista facendo il rombo di un panzer è, probabilmente, il modo migliore per spaventarlo e fargli fare movimenti inconsulti e inaspettati.

E di solito chi mi fa questo ragionamento poi gira in braghette corte, in canottiera, in infradito. Senza guanti, che fa caldo.
Con un casco a scodella che non si capisce come abbia fatto a passare i test dell’omologazione. Per tacere del modo in cui lo allacciano…

Mi rendo conto di essere su un crinale pericoloso. Ci vuole un attimo a trasformarmi in un fastidioso maestrino che fa la menata sull’importanza delle protezioni. Persino il venerabile Nico, che ne ha fatto un marchio di fabbrica, ogni tanto scivola nel paternalismo.

Io poi sono il primo a non essere preciso.
Porto il casco, integrale ovviamente.
Porto i guanti e la giacca con il paraschiena pure in estate, ma le gambe? E i piedi?
Le scarpe da ginnastica che ho su oggi pesano pochi grammi e son fatte di nulla, e sorvoliamo sul modo in cui tutto il ginocchio destro fa capolino da uno squarcio aperto nei jeans che non mi decido a buttare.

Mi prenderei a ceffoni da solo.
Basterebbe la più stupida delle scivolate per trovarmi il ginocchio pralinato di pietrisco.
Se poi dovessi malauguratamente toccare il coperchietto delle coppie coniche, anche senza bisogno di cadere avrei la certezza di portare per sempre la firma di Aiko sulla mia pelle.

Allora ho fatto un giochino: prendo i mille euro e cerco di farci degli acquisti che servano a proteggermi per davvero, ma senza dover montare uno scarico aperto che attira i vigili come il miele attira gli orsi.

Un casco, prima di tutto. Un bell’integrale, ovviamente. Che pestare il faccione per terra magari non ti uccide, ma non fa nemmeno bene.
Il mio casco – il primo con doppia omologazione jet/integrale – ha un sacco di pregi, ma anche due grandissimi difetti: è molto rumoroso e, soprattutto, è fuori produzione.
Quindi, visto che nel mio sogno ero un neofita senza attrezzatura, mi tocca andare in un’altra direzione. Potrei lasciare circa metà del budget alla Shoei – e forse ne varrebbe la pena – o andare su un modello un po’ meno costoso. Questo, per dire, che costa poco più di 200 €.

La giacca l’ho cambiata da poco anche nella vita vera.
Siccome quella che avevo prima, che avrei ricomprato a occhi chiusi, non è più in catalogo, ho dovuto cercare un’alternativa.
Dovete sapere che io coi vestiti sono un bel cagaminchia.
Vanno i colori fluo? Io cerco il nero. Vanno stampe e decori barocchi? E io cerco il minimal.
E sono pure alto, grosso e con le braccia lunghe; capite perché dopo tre ore che provavo tutte le giacche il commesso del negozio mi stava buttando fuori?
Alla fine me la sono cavata con una bella giacchetta con fodera imbottita removibile e protezioni per circa 170€. Più 25 per inserire il paraschiena con omologazione (putroppo solo di livello 1).

E siamo ai guanti.
Tasto dolente i guanti, perchè ce ne vanno due paia. Uno imbottito per l’inverno ed uno leggero per l’estate.
Per l’estate?
Esatto! Te lo insegnano all’asilo: metti giù le mani quando cadi. Metti giù le mani prima della faccia!
E vuoi farlo a mani nude? Fino a che sei un bambino di cinque anni che casca dalla Saltafoss non succede nulla, ma scivolare a settanta kilometri orari sull’asfalto ruvido di una statale a mani nude significa aprirti le mani in due.
Diciamo una cinquantina di euro per gli estivi e una novantina per gli invernali, così li troviamo con un’omologazione di livello 2.

A quanto siamo? 550 €. Benissimo.

Come ogni Motografo che si rispetti, io quando scendo dalla moto non mi limito a sedermi al bar per uno spritz; cammino come un pazzo esplorando le mie mete.
Quindi no, non posso pensare di mettermi i calzoni di pelle con le saponette e gli stivaloni con gli slider.

Ma questo non vuole dire che io debba continuare a girare con le Adidas sfondate e i jeans coi buchi, vi pare?
Frugando i cataloghi delle varie case trovo una pletora di jeans tecnici (tipo questi) con protezioni che magari non andranno bene in pista, ma sono un buon compromesso per le mie esigenze. Prezzo medio circa 180 €.
Non sono pochi, ma nemmeno troppi.

E ora le vere note dolenti. Io porto il 45/46.
Che a me sembra normale, eh… Non ho mica detto il 64. Ma provaci te ad andare da Foot Looker e dire che vuoi un paio di scarpe del 46, ti guardano come se gli avessi dato fuoco alla vetrina. O per lo meno come se il tuo fosse un vezzo disdicevole.

Peggio mi sento al pensiero di andare a comprare delle scarpe da moto adatte anche al passeggio. Già i modelli sono pochi…
Però, almeno in teoria, qualcosa si trova, con un prezzo medio di 180 €.

Totale, amico concessionario? 910 €. E se ancora mi mancasse la petomarmitta, onestamente, saprei come rimediare!

Questo articolo avrebbe dovuto essere l’inizio di una collaborazione con gli amici di Motoelements di cui, per la mia ignavia non si è più fatto nulla.

*Prezzo – di listino ovviamente – di uno scarico Arkapovic per le moto più vendute in Italia negli ultimi mesi (GS 1200, Africa Twin, MT-09 Tracer).

Intervallo

GONE RIDING

È Pasqua.
Il cielo terso e i primi caldi sussurrano al Motografo incatenato alla scrivania chiamandolo insistentemente.

Dai, molla tutto! Salta in moto e fatti un giro!

E come fai a dargli torto?
E allora così ho fatto.
Per questa settimana mi sono preso qualche giorno libero, da spendere sulle strade anche per voi.

Quando leggerete queste pagine io sarò, probabilmente, su un’autostrada.
Nello zaino la mia fida macchina fotografica e, per celebrare degnamente la stagione, una tovaglia a quadri, un mazzo di fave, un pezzo di pane casareccio e un bel pezzettone di pecorino!

Fave e Pecorino - a

Vino meglio di no, che non si sposa molto bene con la moto.

Ma già che ci sono, voglio anche cogliere l’occasione per chiedere il vostro aiuto: amici Lombardi, Emiliani, Piemontesi, Liguri e Veneti: suggeritemi delle destinazioni da visitare, indicatemi i vostri luoghi del cuore che vi piacerebbe veder recensiti in stile motografico!
Potete farlo qui, nei commenti, oppure su Facebook, Twitter o Instagram.

O se siete dei timidoni potete scrivermi una mail!

Buona Pasqua!

Intervallo

INTERVALLO: SALUDOS AMIGOS

saludos amigos

Mi sono sempre descritto come un burbero antisociale, lo so.
Ma devo confessarvi la mia debolezza: io saluto tutti.
Tutti per davvero, eh…

Stradali e sportive, custom e cross, enduro e turistiche.
Non faccio distinzioni di cilindrata, di stile o di potenza.

Saluto persino gli sccoter e – un po’ me ne vergogno – l’altra mattina ho salutato persino un maledetto tre ruote.

Saluto soprattutto i ragazzini in motorino, perchè ricordo ancora l’emozione che ho provato sulla statale Comasina nel 1997, la prima volta che un motociclista vero mi ha rivolto un saluto.

Mi sono sentito accolto in una comunità.
Comunità, ho detto, non gruppo.
Rimango un asociale, non sono tipo da motoclub o da gita in branco.

Ma mi piace credere che ogni motociclista possa contare, al momento del bisogno, sull’aiuto di tutti gli altri membri della comunità, dei suoi pari.

Un guasto? Sei rimasto a secco? T’è cascata la moto dal cavalletto e non la riesci a rialzare?
Puoi contare su di me. È questo il messaggio che cerco di dare quando allargo il braccio sinistro, con le due dita protese, incrociando un altro motociclista.

Non è solo una questione di educazione, come salutare anche il vicino antipatico quando lo incontri sulle scale.

Eppure c’è un sacco di gente che non risponde.
Ma chi può essere così bestia da ignorare un gesto di cortesia così banale?

In primo luogo gli scooteristi, ovviamente. Ma a loro discolpa va detto che molti non sono dei veri motociclisti. Hanno comprato lo scooter e lo usano per andare da qui a lì. Il saluto è una sorta di segnale iniziatico, una tradizione che ti insegnano quelli più anziani.

E poi vengono i guidatori di BMW. Anzi, di GS 1200, per la precisione.
Ora, io non voglio dire che i giessisti si sentano in qualche modo superiori a noi comuni mortali.
Non voglio dirlo; lascio che siano loro stessi a dimostrarlo con i fatti.

saludos amigos

Ma, va detto, in queste due categorie c’è sempre qualche eccezione.
Il tre ruote di cui vi parlavo, per dire, ha risposto al mio saluto.

È solo una la categoria che per davvero non risponde mai: gli harleysti.

Ci sono scienziati che da anni si arrovellano sul tema.
Si tratta di arroganza? Della convinzione di essere una razza a parte rispetto ai comuni motociclisti? O forse di una particolare conformazione della muscolatura delle braccia che impedisce loro di salutare?

Una soluzione credibile è quella che mi ha proposto F. qualche tempo fa: quei trabiccoli – è la sua ipotesi – vibrano così tanto che non è fisicamente possibile staccare la mano dal manubrio senza pestare una facciata in terra.

Saludos, amigos!

Un doveroso ringraziamento ad Elena per essersi prestata a girare il video e scattare la foto per questo articolo risparmiandovi l’ennesima pietosa scusa per una settimana saltata.

Intervallo

INTERVALLO: LE REGOLE DEL GIOCO

Ci si può anche dividere

L’abbiamo fatto tutti un viaggio in gruppo, vero? Uno di quelli in cui si parte in dieci/quindici persone.
Amici, amici degli amici, amici degli amici degli amici che non conosce nessuno.
Coppie e single mischiati. Maniaci dei musei, dello sport, delle discoteche.
E sistematicamente si finva a litigare, mandarsi al diavolo, sfinirsi in votazioni che a confronto le assemblee di Lotta Continua duravano poco.
E più le condizioni del viaggio sono difficili, più gli scazzi aumentano.

Eppure nel 2004 siamo riusciti ad attraversare i paesi del Baltico in pullman. Viaggiando da Tampere a Varsavia senza accoltellarci a vicenda.
Dodici persone. Tre coppie, sei single. Amici di vecchissima data e persone conosciute da poco.

Come abbiamo fatto?

Ci si può anche dividere.

Amico P. ripeteva questa frase come un mantra ogni mattina, appena prima di fare colazione.

– Vorrei andare al museo del KGB, che ne dite?
– Ci si può anche dividere.
– A me piacerebbe fare tre ore e mezza di autobus per andare a vedere il confine russo.
– Ci si può anche dividere.
– Stasera andiamo a ballare?
– Ci si può anche dividere!

Certo, in questo modo siamo tornati a Milano in sette modi diversi, ma posso ragionevolmente affermare che nessuno di noi ha da recriminare più di tanto sull’aver fatto o non fatto qualcosa per venire incontro alle esigenze degli altri.

Segui il ritmo

È sempre tutto chiuso?
Non c’è mai un posto dove mangiare che non sia il McDonald’s della stazione?
Non c’è vita nelle strade, mai, nemmeno al sabato sera?

Orologio con l'ora del mondo - Alexander Platz 1(0001)

Probabilmente è perchè non stai seguendo il ritmo del posto in cui ti trovi.
Sei libero di fare l’italiano medio che non cena mai prima delle 21.00 o pretendere di seguire il fuso orario di Barcellona e non iniziare una serata prima di mezzanotte ma se ti trovi a Bergues, nel Nord-pas-de-Calais, non puoi lamentarti di trovare tutto chiuso.

Questo vale quasi sempre, a meno che tu non sia a Stoccolma.
A Stoccolma puoi sforzarti quanto vuoi, puoi seguire la guida, i consigli di chi ti ha affittato la camera o molestare i passanti in centro per sapere dov’è che c’è la vita, ma il massimo che troverai è un anonimo locale medio-triste che, comunque, sta sempre per sbaraccare l’ultimo tavolo.

La Lonley planet non mi avrà più!

Ma anche la Routard.

La Lonley sconta un problema principale: la totale mancanza di informazioni sulle attrazioni dei luoghi.
Può essere buona per sapere dove dormire e dove mangiare, ma spesso non riporta alcuna informazione su quello che c’è da vedere in un posto.
Quando va bene viene giusto citata l’attrattiva principale, senza approfondire, quando va male cita solo pub, alberghi e ristoranti.
Pub alberghi e ristoranti, poi, sempre uguali in tutto il mondo.
Che sia Port-aux-Français, Karasjok, Hanga Roa o Nikol’skoe, la Lonley saprà sempre indirizzarvi in un pub inglese dove potrete bere una Bulldog Strong Ale e guardare repliche della Football League Championship con telecronaca nella lingua locale.

Lozisce - Isola di Brac - Agosto '08 - La chiesa era come le case ma con una croce e forse un po' più di vernice

Alla Routard posso riconoscere il beneficio del dubbio, ne ho avuta una sola e mi è bastata.
Sarà la traduzione, sarà stato un errore di battitura, ma quando ti fai 140 kilometri d’auto in un giorno per andare a fare il bagno in “una delle poche spiagge di sabbia della Croazia del nord” e ti trovi su una distesa di ciottoli grandi come la testa di un bambino il desiderio di uccidere qualcuno si fa irresistibile.
Ma poteva andare peggio, dai. Poteva piovere. E infatti ha piovuto.

Malpensa is not Italy!

Milano Malpensa.
Che non è Milano nemmeno per scherzo.
Niente mi leva dalla testa che l’abolizione delle province per cui tanti si sono spesi avesse come unico obiettivo la cancellazione di questa semplice verità: Malpensa è in provincia di Varese, quasi più vicino al confine svizzero che al centro di Milano.

malpensa is not

La mia percezione, lo ammetto, è causata soprattutto dall’impossibilità di raggiungere il Terminal 2 (da cui partono gli aerei da pezzente che prendo di solito) in modo sensato.
Fino a un paio di mesi fa, infatti, giunti con il Malpensa Express all’aeroporto era necessario attendere un’odiosa navetta puzzolente di nafta che faceva dodicimila fermate prima di poter scendere nel terminal più disorganizzato e privo di servizi d’Europa.
Oggi, dicono, il trenino malefico arriva direttamente al T2, quindi la mia opinione potrebbe anche cambiare, ma non ci conterei troppo.

Mangia come loro

0009 - Melanzane fritte (best)

Niente spaghetti in Danimarca, niente pizze in Giappone.
Per quanto possibile io cerco di mangiare come gli abitanti del luogo.
Se possibile anche con loro, nei posti in cui mangiano loro.
Se ho la possibilità di cucinare in casa o sul fornello da campo, compro per quanto possibile quello che mangiano i locali, anche se poi me lo cucino un po’ come riesco senza alcuna pretesa di filologia…
Però, dai… niente pasta portata da casa, niente fiasco di chianti legato alla cintola!

Affumicatoio - RauchOfen

Flâner pour comprendre la ville

Flâner: passeggiare, ma forse la traduzione più corretta sarebbe vagabondare senza meta per la città.
Io ho sempre avuto l’ansia di perdermi qualcosa.
Insomma, sei per la prima volta in vita tua a Parigi, a Tokyo, a Barcellona Pozzo di Gotto o a Castelletto di Branduzzo. Hai solo tre giorni e non sai se avrai mai occasione di tornarci…
È ovvio che tu ti immerga nella guida e ne esca con un programma serratissimo di cose da vedere: musei, monumenti, chiese.
Una marcia forzata senza requie e senza possibilità di deviare.

Kreuzberg - Doppelgängeradmiral di Ludmilla Seefried-Matejkova - vista da est

Gravissimo errore.
Da qualche anno ho imparato a portarmi anche in viaggio l’indole da flâneur che ho sempre avuto a Milano. Passeggiare senza meta o quasi per un quartiere guardandomi intorno, cercando di sentire, di percepire qualcosa sugli spazi che attraverso e che, per forza di cose, non posso pensare realmente di vivere..

Se ne ho il tempo – o se non è la prima volta che visito una città – dedico una mattinata, un giorno intero a questo vagabondare assorto; se ho i minuti contati cerco per lo meno di spostarmi da un’attrazione all’altra a piedi, con i sensi attivi e senza troppa premura.

Queste cinque regolette sono la risposta a una sorta di gioco lanciato da The DAZ Blog a cui mi ha invitato Claudia di Voce del verbo partire.
Normalmente non partecipo a questo tipo di catene, non raccolgo sfide e non ne passo ad altri.

Un po’ perché cerco di mantenere una certa “essenzialità” nei contenuti di questo sito e molto perché da buon sociopatico parlo di più con la mia motocicletta che con gli altri blogger.
Ma questa volta ho deciso di fare un’eccezione, anche perché era da parecchio che avevo in mente di scrivere qualche articolo sulla mia “mentalità” di viaggiatore e organizzatore..

E sì, prima che siate voi a malignare, è anche perché durante l’inverno non ho mosso più di tanto la povera Aiko e sono un po’ in debito d’ossigeno per quanto riguarda gli itinerari da raccontarvi.

Intervallo

INTERVALLO: HANDY MANNY E MISTER BEAN

Conosco gente che in box ha un’officina completa di ponte.
Che nel weekend costruisce a mano parti di carenatura o salda collettori artigianali all’ora dell’aperitivo.
Gente che si cambia da sè pneumatici e pastiglie dei freni e si fida pure ad andarci in giro.

Rapidi, precisi, efficienti e persino eleganti.
Hanno attrezzi lustri. Uno per ogni necessità.

Io no, io non sono così.
Vorrei tanto essere un piccolo Handy Manny, ma all’atto pratico quando ho in mano una chiave inglese sembro più Mister Bean.

Loro in quindici minuti fanno il cambio olio alla moto senza nemmeno sudare e arrivano a tavola per il pranzo della domenica lindi e puliti.
Io a cambiare l’olio ci metto tre ore e ancora prima di aprire il tappo di sfiato mi sono sdraiato in terra sei volte ricoprendomi di sporco e macchie di grasso fin dietro alle orecchie.

Da ragazzino pensavo di essere semplicemente negato e non osavo nemmeno stringere un bullone.
Poi, più o meno ai tempi dell’università, ho deciso che non potevo continuare così e mi sono buttato nel magico mondo del fai da te, trasformandomi in una sorta di MacGyver per risolvere a costo zero la mancanza di attrezzi adatti alle mie esigenze.
Che poi, più ancora del costo, a pesare è il fatto di non conoscere il nome degli attrezzi.

C’avete mai fatto caso?
Il mondo delle ferramenta è una sorta di setta iniziatica.
Non puoi sperare di ottenere il ferro che ti serve descrivendo al negoziante l’uso che ne vorrai fare. Non importa quanto preciso tu possa essere, otterrai sempre e comunque una risposta negativa.

Entri con sguardo sicuro, ti dirigi al banco e senza timore reverenziale dici:

-Buongiorno, ho questo coperchietto che è tenuto fermo da due viti il cui intaglio ha la forma di una stella a sei punte. Gli estremi di due punte opposte distano 2,39 millimetri. Mi servirebbe un cacciavite adeguato.

Pensi che ti diano un maledetto cacciavite torx del 10? Ma nemmeno per sogno. Uno sguardo bovino che nemmeno avessi chiesto dei pinoli nell’entroterra ligure.

E allora t’incazzi. E decidi che quel fetente del ferramenta sotto casa non ti avrà più, da domani si va solo al Bricocenter.
Che per essere comunque trattato da schifo almeno stanno aperti sino alle nove.
Ma pensi che possa cambiare qualcosa? Scordatelo. Il commesso, in quel caso, non fa finta di non capire, proprio non sa di cosa tu stia parlando.

Sunday is for service!  #candele #sparks #ngk #moto #motorcycle #service #manutenzione #diy #kawasaki #w650 #Motografo #Realtime #Comingsoon #sparkplugsocket

Gli automobilisti diranno di lasciar stare. Diranno che basta andar dal meccanico e far fare a lui.
Illusi!
Una moto non si lascia trattare come una Panda qualsiasi. Non c’è solo la manutenzione ordinaria, il cambio dell’olio, il controllo della pressione delle gomme.
Non ve ne accorgete quando vi avvicinate a una moto? Non sentite quelle presenze ultraterrene, quelle voci nel cervello che vi implorano di indurire l’ammortizzatore, cambiare le frecce o sfilare le forcelle?
Non le sentite? Strano, eppure da quando esiste internet queste presenze sono diventate ancor più forti.

S’è fulminata la lampadina degli stop. Fammi vedere su google se trovo il codice giusto per chiederla al ricambista.
E via, un susseguirsi di forum in cui Manetta64 sostiene che sia fondamentale montare il kit di luci al wolfranio 14 della Blitzkrieg Lampen, Burnout_Man32 spergiura di aver risolto il problema solo cambiando marmitte e copertoni mentre il sedicente meccanico CollettoreRomano propone di bypassare la questione montando i fari di una vecchia FIAT Duna opportunamente sagomati al tornio che tiene montato nel bagno di servizio.
E vuoi non provarci?

– Spendevo meno se mi drogavo!

È un adagio che i motociclisti conoscono benissimo.
E come ogni proverbio ha un fondo di verità (a parte per quelli che oltre a buttar soldi per la moto si drogano).
Anche perchè, immancabilmente, una volta fatto il lavoro c’è sempre qualche regolazione di fino da fare e allora tutti da Culodigomma. Che ti accoglie a braccia aperte.
Con le pupille a forma di Dollaro!

Intervallo

I BEI VECCHI TEMPI ERANO DUE!

La mia generazione ha vissuto forse l’ultimo periodo esaltante per i motorini.

Siamo cresciuti guardando passare gli sciami di di Ciao e di Sì, i gloriosi Califfoni, i Grillo con le ruote da 14″, gli onnipresenti Garellini con le marmitte a cubetto.
Finivano gli anni ’80 e noi iniziavamo a sognare con il Fifty Top, il tamarrissimo tubone a marce che monopolizzava le pagine di Topolino e che era sempre il mezzo del più figo della cumpa, quello che stava davanti a tutti e faceva le penne ai semafori.
Senza casco, naturalmente.

E poi nel 1992 è comparso lui. E tutto è cambiato.
Zarro come pochi. Perfetto complemento di doppio taglio, bomber blu petrolio, jeans con lo spacchetto e anfibi police.
Il Booster ha segnato il nostro immaginario come poche cose al mondo.

C’era nero, c’era di quello strano simil-rosa metallizzato indefinibile e, soprattutto c’era l’esclusivissimo Booster cromato, vero distintivo del capo degli zarri del quartiere.

Non dico che il suo avvento sia stata un’evoluzione positiva.
In fondo il grandissimo successo degli scooter in plastica con il variatore ci ha regalato aberrazioni come la Vespa ET2.
Però i due tempi a ruote basse degli anni novanta sono stati davvero qualcosa di esaltante!

Io nel ’98 ho avuto un MBK Ovetto rosso.
Veloce, parecchio. Stabile e spazioso. Pure relativamente economico.
In quegli anni non era molto diffuso, funestato da un nome assurdo (immagino che nell’ufficio marketing di MBK sia caduta qualche test), ma era solido e affidabile, tanto che nelle sue ultime versioni a marchio Yamaha (il Neos) è diventato il motorino ufficiale dei pizzadomicilio egiziani.
Avevo appena finito il rodaggio e stavo iniziando a godermelo come si deve quando me l’han rubato.
Da allora ogni volta che ne vedo uno controllo la targa. Me la ricordo ancora a memoria.
6DVK5, per la cronaca.

C’era l’ Honda SFX, noto per avere una gomma anteriore talmente dura che non c’era verso di non perderla in curva, se appena appena entravi con le forcelle un po’ compresse.
Lo ZX Dio dei fighetti. Fragile e piccolissimo, caro come il fuoco, ma ambitissimo per via dei cerchi dorati e dei fari violacei.
L’F10 Malaguti, con il faro a cupolina in cui si mettevano le bamboline di McDonald’s.
Lo Zip, in origine sobrio e un po’ troppo da “bravo ragazzo”, ma presto affiancato dal sogno proibito di noi tutti: l’SP raffreddato a liquido che ancora oggi imperversa sulle piste della bassa.

Il Booster l’ho già citato, nevvero? Non so dire se ne ho mai visto uno completamente originale.
A meno che la Giannelli Reverse non fosse la sua di fabbrica, ecco…

E questo apre il capitolo elaborazioni.
Io non ho mai avuto soldi da spendere in multe e, soprattutto, il mio motorino è durato troppo poco, ma le personalizzazioni che ho visto in quegli anni facevano il culo a tutta la custom culture di oggi.
Estetica? Quasi nulla, al limite una lucina blu allo scarico come le Harley. Tutto era teso all’aumento di prestazioni. Una continua rincorsa. Guadagnavi qualcosa in allungo e perdevi in ripresa. E allora vai a correggere. Aggiungi. Aggiungi ancora.
Rulli, variatore. Scarichi aperti, girati, bucati. Cupolini levati per togliere peso. E poi il cilindro da 75, 90, 140…

Ricordo un amico con un Aprilia SR 50 talmente pistolato che ci siamo arrivati a 90 km/h di tachimetro.
Che sarà mai, dici?
Beh, conta che c’eravamo su in quattro.
Di cui il più leggero pesava 70 kili.

Perchè poi era così. Di giorno ancora ancora rispettavamo qualche regola, ma al calar del sole quello del gruppo che aveva lo scooter diventava un po’ il tassista della compagnia.
E se dopo un po’ passava la voglia di far mille viaggi ci si trovava a far numeri che neanche il carosello della polizia alla parata del due Giugno.

A Milano si andava alle gemelle a piegare, ed ogni scusa era buona per allungare un po’ qualsiasi tragitto e farci uno o due giri, ma la stessa testa (di cazzo) l’avevamo anche sulla strada quotidiana. Perchè ogni giorno c’era il tentativo di prender verde il tal semaforo, così poi potevi aprire tutto sul tal rettilineo e staccare al limite in fondo per infilarsi in curva…
C’è chi per resistere alla frenesia della vita moderna beve un Cynar, chi fa Yoga, chi molla tutto e apre un chiosco di cocchi alle Canarie.
Noi, semplicemente, trasformavamo l’ansia per il ritardo a scuola nella ricerca del tempo perfetto sul giro.

Son passati quindici anni e non è cambiato niente, dite?
Eh, mi sa…

Intervallo

FERIE D’AGOSTO

Ferragosto.
Città vuote, uffici chiusi, saracinesche abbassate, strade silenziose.

Hai voglia a dire che non sono più gli anni ’60 e che la società moderna non si ferma mai; le città italiane a Ferragosto sono ancora come la Torino di Marcovaldo nel 1963.

E anche io ho deciso di essere un po’ più nazional-popolare del solito.
Per questa settimana il Motografo si ferma.

Prendete della legna e preparate la brace per la più classica delle grigliate!

IMG_20150718_213142

Ci rivediamo giovedì prossimo!

Intervallo

INTERVALLO: IL RUBINETTO DELLA BENZINA

Voi guidatori di moto moderne non potete capire.
A un certo punto a voi si accende una lucina sul quadro strumenti e sta lì, a ricordarvi che dovete far benzina come una mamma ricorda al figlio adolescente che deve rifare il letto.

Noialtri, noi che guidiamo un catorcio progettato come se fosse il 1972, viviamo una vita completamente diversa.
Niente luci.
Nessun preavviso.
A un certo punto il motore inizia a scalciare. Perde colpi. Appena lo porti al minimo semplicemente si spegne e non ne vuol più sapere di ripartire. Allora allunghi la mano sinistra sotto il serbatoio, raggiungi il rubinetto e lo giri su “riserva”. E magicamente tutto comincia a funzionare di nuovo. Senza luci, senza avvisi.
Per trentacinque, quaranta kilometri.
Poi si spegne. Definitivamente.
Noi non abbiamo una mamma ossessiva che ci ricorda ogni trenta secondi di far rifornimento. Noi abbiamo un padre-padrone autoritario ed implacabile come un Dio del vecchio testamento.
Ci dice una e una sola volta quello che dobbiamo fare.
E se non lo facciamo una punizione terribile si abbatterà su di noi.

La prima volta mi è successo con il Garelli.
Fuori dal parco Sempione.
All’ultimo rifornimento (tre litri e due di miscela al 3% di benzina rossa ed olio minerale, ragazzi, mica pizza e fichi) mi ero dimenticato di rimettere in posizione il manettino. Salgo in sella, tiro l’aria, accendo e via che si parte.
Meno di quaranta metri e… Sput, put, put, puf… Morto. Completamente morto.
Tocca riportarlo a casa a spinta. A pedali, anzi. Perché il leggendario Garellino aveva i pedali, come una bicicletta.
Una bicicletta di cinquanta chili con un rapporto cortissimo. Roba che a ogni giro di pedali corrispondeva mezzo giro di ruote. Un’ora e mezza per fare poco più di tre kilometri.

Poi impari, eh.
Trovi il tuo sistema.
C’è chi rifornisce subito. Molla tutto quello che sta facendo e corre dal benzinaio a fare il pieno.
C’è chi ogni volta che spegne la moto rimette il rubinetto in posizione standard, così ad ogni accensione è costretto a ricordarsi di essere in riserva.
C’è persino chi si lega uno straccetto rosso al manubrio a mo’ di spia analogica autoprodotta.

Ma prima o poi ti ricapita. La sfiga è sempre in agguato ed è paziente come un monaco zen.

0019 - Rubinetto della benzina

L’ultima volta è stata quando ho portato la moto da Culodigomma (famoso meccanico) per la revisione amministrativa.
Culodigomma ha fatto quel che doveva fare e poi l’ha portata al centro revisioni di viale Ortles.
Guidandola, che mica tira fuori il furgone per una moto sola. Giustamente.
Oltre alla consueta diminuzione dei cavalli e al conseguente aumento dell’ottimismo, Culodigomma ha riscontrato anche la fine della benzina. E ha girato la manopola su “riserva”.
Solo che, mannaggia a lui, s’è dimenticato di dirmelo quando ho ritirato Aiko il venerdì sera.
E felice ed inconsapevole come solo chi ha finalmente regolarizzato la revisione, io ho usato la moto tutto il weekend. E fortunatamente solo in città.
Domenica, poi, saluto Amico A. davanti al Teatro Dal Verme e parto. Giusto il tempo di arrivare davanti al Litta (una vita segnata dai teatri, la mia) e…
Sput, put, put, puf…
Vabbè, giriamo il rubinett… Oh porca… È già su riserva.
Ma come cacchio è possibile che sia su riserva?

Se foste passati di là avreste visto uno spettacolo entusiasmante!
Un Motografo inguaniato in giacca, guanti e casco neri che borbotta e scuote la testa, inginocchiato di fianco alla sua moto, rifiutandosi di accettare la realtà
La moto è spenta e non si riaccenderà certo da sola.
E poi di colpo avreste potuto vedere un lampo di lucidià attraversare il suo viso celato dalla visiera.
<<Maledetto Culodigomma>> lo avreste visto urlare nella tipica posa dell’asso della prima guerra mondiale abbattuto dal Barone Rosso!

Non son più i tempi del Garelli. Aiko pesa ducentocinque chili senza benzina e non ha nemmeno i pedali.
Per fortuna, diversamente da allora, non vado a miscela e posso far rifornimento all’automatico.
Che sta a un kilometro da qui. Un kilometro di pavè, rotaie del tram e incroci con strade di grandissima comunicazione!