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L’IMPERO COLPISCE ANCORA: PANEM ET CIRCENSEM

Parlare del Teatro e dell’Anfiteatro di Milano significa, prima di tutto, parlare di Alda Levi.

Tra le prime donne ad avere un ruolo nella Sovraintendenza dei Beni Culturali di cui fu, fra il 1925 ed il 1938, responsabile unica per il territorio lombardo e al suo lavoro si devono scoperte e riconoscimenti fondamentali soprattutto per quanto riguarda il passato romano della regione.
Nonostante un lavoro di primissimo livello – su reperti di quel glorioso passato imperiale che tanto piaceva al regime – quando LVI nel 1938 vara le leggi razziali è costretta a lasciare il lavoro.

Trascorre gli anni della guerra a Roma, sotto costante minaccia, vuoi perchè ebrea, vuoi perchè sposata con l’archeologo Vittorio Spinazzola, responsabile di fondamentali scoperte a Pompei ma cacciato dagli scavi nel 1923 perchè critico nei confronti di Mussolini.

Prima che LVI e la sua banda di criminali e lacchè la cacciassero, Alda Levi fu protagonista di alcuni straordinari ritrovamenti a Milano, tra cui nel 1929, durante la costruzione del palazzo della Borsa, i resti delle fondamenta del Teatro Romano e poi, nel 1931, i resti dell’anfiteatro.
Reintegrata nel 1945, Alda Levi muore nel 1950 a Roma, senza avere la possibilità di vedere musealizzate le due grandi scoperte milanesi che saranno aperte alla cittadinanza quasi mezzo secolo più tardi.

Muri radiali delle fondazioni

La storia del Museo Sensibile del Teatro Romano è quasi altrettanto interessante.
Sebbene solo nel ‘29, come sappiamo, sarebbe stato riconosciuto il teatro, sin dalla costruzione del proprio Palazzo, nel 1880, la famiglia Turati si rese conto di aver acquistato assieme al terreno una vera e propria miniera di statuaria romana.

Andrea Preti, il funzionario della Camera di Commercio che mi guida nel Museo, mi spiega che proprio in questi primi anni gran parte dei reperti più belli fu utilizzata dai Turati come moneta di scambio.

– Erano invitati a un matrimonio importante? – mi dice – Portavano in dono una bella statua. Dovevano ingraziarsi un cliente particolarmente facoltoso? Gli regalavano qualche moneta di età imperiale…

Insomma, dove non era arrivato il Barbarossa arrivò un approccio abbastanza libero alla conservazione del patrimonio.

Il Barbarossa, sì, che non può mai mancare nelle vicende milanesi.

Il teatro è stato probabilmente uno degli edifici più longevi della romanità milanese: eretto in età augustea, cessati gli spettacoli fu luogo di assemblea del Comune rimanendo il attività per un millennio buono.
Ma nel dodicesimo secolo Milano, nell’ambito delle lotte di potere che dilaniavano l’Italia settentrionale e Roma, attaccò e distrusse Lodi, fedelissima alleata dell imperatore.
Che al Barbarossa fregasse qualcosa di Lodi, sapendo che la raspadüra [https://mangiaregione.it/raspadura-lodigiana/] non l’avevano ancora inventata, lo credo poco. Ma l’orgoglio imperiale è quello che è e Federico non poteva lasciare impunita la provocazione.
E così nel 1162, dopo un assedio estenuante, Milano dovete aprire le sue porte alle truppe del Barbarossa che avevano l’ordine di radere al suolo La città non lasciando pietra su pietra. Vuoi per la particolare imponenza dell’edificio, vuoi perché ne conosceva l’uso come stava assembleare, Federico chiesa di dedicare particolare attenzione alla distruzione dell’Antico teatro di cui ogni traccia fu cancellata per oltre sette secoli.

Muri radiali delle fondamenta

Tra la distruzione del 1163 e i primi ritrovamenti del 1880, la zona ospitò chiese (San Vittore al Teatro), botteghe e case di umile abitazione, edifici che riutilizzarono gran parte delle superstiti pietre dell’alzato.
Ciò che vediamo oggi, in realtà, è ciò che i romani non potevano vedere: le fondamenta della cavea e di parte del grande muro scenico.

Il forno (panem et circensem)

L’allestimento, tuttavia, è pensato per riportare alla luce i fasti del teatro imperiale, portando i visitatori ad immergersi nella storia con tutti i sensi.
Questo è il significato di Museo Sensibile: un allestimento che coinvolge la vista (grazie alla splendida illuminazione delle rovine), l’udito (grazie alle guide, ovviamente, ma anche alle registrazioni di grandi del teatro che cercano di ricostruire la recitazione romana) e persino l’olfatto (ma qui lascio che siate voi a farvi condurre tra gli odori di umanità e i profumi di rosa e zafferano).

Muri delle fondazioni e passerella

Certo, io ho avuto la fortuna di essere da solo a visitare il teatro e ho potuto godermi in tutta tranquillità il racconto di Preti – che del museo è stato anche artefice.

Dopo una sala introduttiva che illustra nel dettaglio le tecniche costruttive romane, si entra nel vero e proprio museo dove una passerella in vetro e metallo consente di sorvolare i resti dell’edificio illuminati da luci drammatiche che aiutano ad immergersi nell’esperienza nascondendo il prosaico sfondo costituito dalle pareti dello scantinato.

A meno che non abbiate fatto le elementari negli anni 2000, è probabile che non abbiate mai saputo nulla di questo museo, che è tra i meglio nascosti di Milano.
Dalla sua apertura fino a pochi anni fa l’apertura del museo era garantita dalle guide dell’Università Cattolica ma, in tempi di spending review, sono stati radicalmente ridotti i fondi e ora il museo è visitabile solamente su prenotazione grazie al lavoro volontario di alcuni funzionari della Camera di Commercio (contattateli qui, è un’esperienza da non perdere).
In questa situazione, è chiaro, il museo ha orari limitati e non viene più di tanto pubblicizzato ma i volontari sono comunque in grado di garantire l’accesso al sito a centinaia di classi delle scuole elementari e medie delle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza.

Colonne

Accanto a Palazzo Turati, nella sede della Borsa Valori, sono conservati ulteriori reperti del teatro,forse i più interessanti dal momneto che vi sono anche resti delle decorazioni musive del pavimento, ma non è possibile accedervi liberamente quindi, a malincuore, lasciamoci alle spalle Piazza Affari e andiamo verso Sud.

Poco più di un kilometro, che vale la pena di percorrere a piedi attraverso il suggestivo quartiere delle Cinque Vie. Questa è la distanza che separa il museo del Teatro dall’Antiquarium Alda Levi – Parco dell’Anfiteatro Romano. Poco più di un kilometro, in senso geografico, ma qualche secolo dal punto di vista museografico.

Ho lavorato in Corso Italia dal 2011 al 2015. Per arrivare in ufficio, quando il clima sconsigliava l’uso di Aiko, scendevo dal tram in Piazza della Resistenza Partigiana e percorrevo via Molino delle Armi a piedi.
Spesso mi capitava di buttare un occhio all’edificio sede dell’antiquarium (uno dei tanti ex conventi di cui è pieno il centro di Milano), perchè è anche sede di un teatro per l’infanzia cui probabilmente debbo il mio amore per la scena.

Vi mentirei se vi dicessi di essermi mai accorto della piccola targa che annuncia la presenza del museo e dei reperti. Solo le ricerche per il Motografo mi hanno portato, finalmente, a capire dove fosse l’ingresso e quali gli orari.

Mura radiali

E così un sabato mattina alle 12.30 mi presento sulla porta, la varco e mi guardo in giro spaesato.
Indicazioni? Figuriamoci, saremo mica dei Tedeschi che han bisogno le indicazioni. Noi Italiani preferiamo improvvisare. E, in effetti, improvvisando trovo il passaggio che conduce al parco e a ciò che resta dell’enorme arena milanese.

Mura radiali

Enorme,sì. Gli studiosi ritengono che il nostro fosse tra gli anfiteatri più grandi dell’impero, secondo solo al Colosseo e a quello di Capua.

Fa impressione pensare che l’area dell’anfiteatro, che oggi è considerata molto centrale, si trovasse al di là delle mura, fuori dall’abitato, appena a sud del Palazzo Imperiale.

I resti portati alla luce sono musealizzati in un parco che sarebbe tra i più belli della zona, se solo fosse più accessibile. I raggi delle fondamenta dell’ellisse dell’arena, sebbene recintati per proteggerli, dialogano con l’andamento dolcemente ondulato del terreno e con le piante – in fiore in questa mattinata di primavera – creando un ambiente sereno e rilassante.
Scatto qualche foto, leggo i cartelli esplicativi e cerco di ricostruire – in vano – nella mia mente l’effetto che poteva fare la mole dello stadio nella campagna milanese.

Parco dell'anfiteatro e chiesa dei Rumeni

Fiorellini

Torno nel chiostro dell’ex convento e trovo finalmente l’ingresso dell’antiquarium con i suoii due custodi.
Non mi piace attaccare il lavoro delle persone, che va sempre rispettato, quindi mi limiterò a dire che la sensazione era quella di essermi seduto al tavolo di un tipico ristorante ligure.
Chissenefrega, entro e inizio la mia visita.
L’antiquarium mi risulta aperto nel 2004 ma, in tutta onestà, l’allestimento sembra fatto secondo una logica di metà del ‘900. Accumuli di reperti in anonime teche di vetro e cartellini esplicativi poco o nulla esaustivi.
La collezione è piccola, ma il suo pezzo forte, la stele funeraria del gladiatore Urbico, vale da sola la visita (che per altro è gratuita).

Stele del gladiatore Urbico

A Urbico, inseguitore di prima posizione, di origine fiorentino, che combattè tredici volte, visse ventidue anni; Olimpia (sua) figlia che lasciò a cinque mesi, e la figlia Fortune(n)se, e la moglie Lauricia (dedicano), al marito che ha ben meritato, con cui visse sette anni. Ti avverto, chiunque tu sia che uccidi che hai vinto. I suoi tifosi terranno viva la sua memoria

Stele del gladiatore Urbico

Da un lato mi communovo – con quei 2000 anni di ritardo – per la famiglia del povero Urbico, dall’altro trovo affascinante che anche i gladiatori, gli schiavi come era probabilmente Urbico, avessero degli appassionati tifosi che ne terranno viva la memoria, proprio come i nostri pugili, motociclisti o piloti di F1.

Ma mentre penso tutto questo una voce alle mie spalle:

– Stiamo chiudendo!

Guardo l’ora: le 13.40. Il museo chiuderebbe alle 14.00, ma va bè…

– Sì, faccio una foto e ci sono.
– Sì, ma in fretta, per favore, che dobbiamo chiudere.

Odio che mi si metta ansia, ma capisco che il rispetto degli orari sia importante…
Mi affretto, scatto alla come viene ed esco.
Passo alla e appena varco la soglia la sento chiudersi alle mie spalle con tanto di quattro mandate di serratura, catenaccio e paletto.
Peccato che siano le 13.45, un abbondante quarto d’ora di anticipo sugli orari di chiusura del museo.

Il paragone tra i due musei non potrebbe essere più stridente.
Da utente posso dire che quasi sempre mi sono trovato meglio là dove a gestire l’accoglienza e le visite sono i volontari, ma da studioso non mi sfugge il problema.
Il volontariato è una nobilissima attività che troppo spesso funge da scusa per le istituzioni per non pagare i professionisti (le guide) o per giustificare chiusure inaspettate, orari di apertura improbabili o servizi ridotti all’osso.
E però, al tempo stesso, non capisco come si possa pensare di dotare un museo – un museo che dovrebbe essere un fiore all’occhiello di una città – di personale così vistosamente disinteressato (e per giunta scortese). Ci deve, mi ripeto, essere una virtuosa via di mezzo. Deve esistere il modo di selezionare del personale regolarmente assunto e pagato che sappia, allo stesso tempo, sviluppare un amore ed un legame con la propria istituzione, con il monumento, il museo, l’opera che protegge e divulga.

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Tutte le fotografie del Teatro Romano appaiono con l’autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali – Sovraintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano e non possono essere ulteriormente riprodotte.
Per tutte le altre foto vale come al solito la CC attribuzione, non commerciale, no opere derivate.

Devo avere una casa per andare in giro per il mondo, Milano Romana

L’IMPERO COLPISCE ANCORA – BIPOLARISMO ALLA ROMANA

Sin da quando ero bambino l’idea degli scavi archeologici mi ha meravigliato ed affascinato.
Affascinato, ovviamente, perchè l’idea di scoprire i segreti dell’antichità e rivoluzionare la conoscenza della storia non può lasciare indifferente un ragazzino.
Meravigliato, perchè ho sempre fatto fatica a capire come mai i reperti antichi andassero cercati sotto il suolo. Ancora oggi, se devo essere onesto, non me lo spiego fino in fondo, ma evidentemente funziona, mi tocca farmene una ragione.

L’area tra Via Brisa e Via Gorani è un esempio plastico, lampante, della stratificazione archeologica della città.
La grande piazza pedonale, dominata dai nuovi lussuosi edifici di cui parlavo l’ultima volta, fino al 1943 era occupata dal Palazzo Gorani, devastato dai bombardamenti inglesi e rimasto in rovina per quasi mezzo secolo.

La torre medievale – ultima superstite della foresta di torri e torrette in mattoni che caratterizzava la Milano del periodo comunale – svetta ancora al centro della piazza, proiettando la sua ombra sugli scavi del Palazzo Imperiale di Massimiano, rivelati dai lavori stradali che negli anni ‘50 avrebbero dovuto liberare la piazza dalle macerie e dal peso della storia trasformandone l’aspetto e la viabilità.

Palazzo Imperiale di Milano - La torre dei Gorani

Via Brisa, o meglio ancora lo stretto passaggio dietro la pasticceria Marchesi – sono quasi dei portali tra due mondi.

Attraversarli vuole dire lasciarsi alle spalle Corso Magenta e Via Meravigli, i negozi, lo stridore dei freni del Tram, i motorini fermi al semaforo, il passeggio pomeridiano ed entrare in uno di quegli spazi sospesi di cui il centro di Milano è particolarmente ricco.
Pochissimi passanti, ancor meno le auto.
I rumori del traffico sono ovattati, distanti. Solo ogni tanto un colpo di clacson riesce a filtrare ricordandoci che siamo nel centro di una grande città.
Inoltrandomi in questo quartiere ho l’istinto di abbassare la voce e camminare in punta di piedi.
Quasi mi metterei le pattine per non lasciare impronte.

In una sorta di fossa recintata, regno indiscusso di una colonia di serafici gattoni ben pasciuti, i resti delle fondamenta del Palazzo imperiale si mostrano ai pochi visitatori, tra i reperti più leggibili della Milano Romana.

Palazzo Imperiale di Milano - Panorama da Via Gorani

Più in là, da una vetrata che affaccia sulla piazza, si intravedono, se la luce cade bene, i lacerti di un mosaico, trovato di recente e conservato nel seminterrato del nuovo edificio residenziale di via Gorani 4.
Se fossi miliardario in petroldollari comprerei un appartamento qui solo per non dover lottare con i riflessi di questo vetro blindato mentre cerco di fotografare il reperto.

Palazzo Imperiale di Milano - Il mosaico di Via Gorani 4

Quello che vediamo oggi è una piccolissima parte del palazzo, che dall’odierno Corso Magenta arrivava a lambire il Cardo Minore (Via Torino), occupando sostanzialmente tutto il quartiere delle cinque vie.

Palazzo Imperiale di Milano - Panorama arrivando da corso magenta

Si tratta di una serie di ambienti elegantissimi, caratterizzati da absidi semicircolari e collegati da una sala rotonda, presumibilmente colonnata.
Sembra ormai dimostrato che tutti gli ambienti del palazzo fossero riscaldati tramite camere di combustione e condotti per l’aria calda sotto i pavimenti.
Sebbene questo Febbraio sia stato più autunnale che invernale, il clima di oggi è umido e freddo e sarei felice se questo sistema ingegnoso ricominciasse improvvisamente a funzionare.

Palazzo Imperiale di Milano - L'aula absidata

Nel mondo romano gli edifici dedicati allo spettacolo erano molto specializzati, forse più di quanto avvenga oggi.
Il circo oggi lo chiameremmo autodromo. Anzi, parleremmo probabilmente di un circuito da dirt track in terra battuta. I carri si sfidavano in corse velocissime su un ovale dove gli incidenti spettacolari e disastrosi erano parte integrante dello show.
L’anfiteatro, sede di combattimenti tra gladiatori, cacce e battaglie navali oggi lo chiameremmo stadio, palazzetto dello sport. .
Il teatro è, tutto sommato, il luogo di spettacolo che meno ha cambiato la sua funzione dall’antichità ad oggi.

Diversamente dal mondo odierno, però, in epoca imperiale era lo stato, l’imperatore stesso ad offrire lo spettacolo al popolo e a occuparsi della costruzione e della manutenzione delle strutture.
Strutture che, con il loro numero e la loro opulenza, sono un simbolo palpabile della ricchezza e dell’importanza di una città.

Non è probabilmente un caso se il palazzo si trova proprio in mezzo tra il teatro, il circo – la cui unica torre superstite fa capolino tra certi brutti palazzi anni ‘50 alle mie spalle – e, a sud, l’anfiteatro.
E forse non è un caso nemeno il luogo scelto per costruire il palazzo. Teatro e anfiteatro esistevano già prima che Diocleziano instaurasse la tetrarchia portando Milano al centro dell’Impero e deve essere parso naturale posizionare il palazzo del potere proprio in mezzo tra le due strutture esistenti e il nuovo, magnifico circo donato dall’Augusto Massimiano alla sua città d’elezione.

Palazzo Imperiale di Milano - La torre del circo

Non sono uno storico, quindi prendete quello che dico con la dovuta cautela, ma sono abbastanza sereno nel dire che una delle principali cause della caduta dell’Impero sia il progressivo ed inarrestabile acquisto di potere da parte della chiesa Cristiana.
L’Imperatore, prima, era un Dio.
Ai nuovi sudditi conquistati non chiedeva, però, di convertirsi in toto al suo culto ma solo di integrarlo nella loro religione.
E, va detto, i politeisti non avevano grossi problemi ad accettarlo, almeno come culto di facciata.

Ma, con quella storia del non avere altro Dio all’infuori di Dio, sin dall’editto di Costantino i Cristiani hanno minato la credibilità di un Imperatore non più divino.
Con Teodosio, poi, hanno negato la libertà religiosa ai popoli sottomessi. Facendoli imbestialire non poco.
In qualche modo il potere ecclesiastico è stato la nemesi del potere Imperiale.

Il Complesso Episcopale, centro nevralgico del cristianesimo milanese sin dall’età imperiale, non poteva dunque che essere la nostra prossima tappa.
Lasciato il palazzo, quindi, risaliamo lungo Corso Magenta fino a Piazza Cordusio e poi al Duomo.

Al battistero di Santo Stefano, risalente forse al periodo di Diocleziano, ed alla Basilica Vetus, Sant’Ambrogio volle affiancare il fonte battesimale di San Giovanni, dove nel 387 battezzò Agostino e la Basilica Nova, ricostruita successivamente ed intitolata a Santa Tecla.

Naturalmente in superficie non ne rimane traccia. Tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, infatti, l’avvio dei lavori del Duomo ne ha determinato la completa cancellazione.

Secoli di abbattimenti e ricostruzioni hanno progressivamente cancellato anche la memoria del complesso, sopravvissuta solo nella piccolissima via Santa Tecla e nel club omonimo, dove iniziarono a esibirsi Gaber, Iannacci e molti altri.

Ma se è il dinamismo edilizio della città ad avere la responsabilità di aver cancellato il complesso, suo è anche il merito di averlo riportato alla luce. L’abbattimento del Rebecchino, nell’800, e la costruzione della Metropolitana uno, poi, lo hanno progressivamente riportato alla luce. Vero è che nell’800 non si è andati tanto per il sottile. Non solo nessuno ha pensato di musealizzare i resti, forse non riconoscendoli, addirittura contestualmente al Rebecchino è andato giù anche il Coperto dei Figini, nella cui struttura era incorporato l’ultimo tratto superstite delle mura di Santa Tecla.

Ma del resto, nani, siamo a Milano mica a Roma. Se dovessimo star dietro a tutti i sassi con una storia qui non fatturerebbe più nessuno!

Vi ho già detto che visitare i resti romani di Milano non è semplice? Si, eh?
Ecco, questa è l’ennesima dimostrazione.

Stando alle informazioni, una piccola parte dei resti dovrebbe essere visibile nel mezzanino della metropolitana ma nessuno, specialmente non i preparatissimi controllori dell’ATM, è in grado di individuare la teca.
Sono quasi certo di averla vista da bambino ma nei 25 anni trascorsi la stazione è stata completamente ribaltata.

Giro a destra e a manca, chiedo ai controllori, all’edicolante e agli addetti della biglietteria della scala ma nessuno ne sa nulla.
Poco male. Riemergo e vado a far la coda per l’ascensore nord del Duomo (Corso Vittorio Emanuele 2). Non voglio salire a limonare sulle terrazze al tramonto, per lo meno non oggi, ma l’accesso alla vasca dell’antico Battistero di Santo Stefano è proprio accanto all’ascensore.

Faccio la mia bella coda in mezzo alle coppiette, passo la perquisizione dei militari, entro e mi butto subito a sinistra. Sono l’unico, gli altri passano via dritti verso l’ascensore.
Del resto se uno non sa cosa cercare questa porticina e questi due gradini non li vede proprio.

0017 - Battistero di Santo Stefano ad Fontes

Della vasca, ahimè, resta giusto la sagoma e un mezzo metro di muro.
L’allestimento è spoglio, la luce scarseggia e io faccio fatica ad immaginarmi la fastosità di un fonte battesimale descritto con entusiasmo dal poeta Ennodio, che ne vantava la bellezza e l’ingegnosità idraulica.

Esco poco dopo, tra lo stupore dell’addetto che mi ha appena visto entrare.
Non era preparato a gestire un salmone che risale la fila ed è costretto a spostare una di quelle pericolosissime transenne che abbondano nel centro di Milano…

Scoprirò poi che anche per visitare il Battistero di Santo Stefano ad Fontes avrei dovuto pagare un biglietto. Ma non mi sento più di tanto in colpa, tanto l’ho pagato poco dopo.
La maggior parte dei reperti si trova infatti sotto al Duomo e lì il biglietto lo controllano eccome!

Vi ho già detto che visitare i reperti di Mediolanum è complicat… Cosa? Ah, ok, ve l’ho già detto…

Vabbè, insomma, per entrare al Duomo dovete passare dall’arcivescovado (appena oltre Palazzo Reale).
Qui da un po’ è stata spostata la biglietteria del Duomo e di tutti i suoi musei.
Fatto? Bravissimi.
Uscite di nuovo e rimettetevi in coda, stavolta per la cattedrale.

Ogni volta che metto piede nel Duomo mi manca il fiato.
Per enorme ed imponente che possa essere, la mole di marmo rosa svanisce. Il Duomo, all’interno, è fatto di aria. Le colonne sembrano sottilissime, guidano lo sguardo verso l’alto, verso un soffitto così lontano da dare le vertigini.

Ma noi, invece, dobbiamo andare sottoterra.
Una piccola scaletta, sulla parete di entrata, porta ai resti del Battistero di San Giovanni e della chiesa di Santa Tecla.
Stavolta il colpo d’occhio è notevole.
La vasca di San Giovanni, enorme, è al centro dell’allestimento.

0021 - Battistero di San Giovanni alle Fonti

Oltre alla struttura ottagonale del fonte rimangono parti del pavimento che la rendeva impermeabile e alcuni interessanti pezzi dell’opera idraulica che ne consentiva il funzionamento.
Nonostante le protezioni in vetro, qualche genio del male è riuscito a buttare anche qui monetine e persino banconote.
Penso che l’unico modo per far cessare questa idiozia sia far correre la voce che buttare le monete in luoghi che diversi dalla Fontana di Trevi porti male…

0020 - Battistero di San Giovanni alle Fonti

Alle spalle del fonte battesimale, i resti di Santa Tecla.
Dell’antica basilica si conservano non solo le fondamenta, ma anche parti di pavimentazione e persino un pezzetto dell’alzato dell’abside, con l’affresco di un velario tipico delle chiese milanesi dell’epoca.

0022 - Lacerti di affresco di Santa Tecla

Tutto attorno sarcofagi e sepolcri vicinissimi, quando non sovrapposti, testimoniano come l’usanza di farsi seppellire dentro e attorno alle chiese fosse radicatissima.

0018 - Sepolture a Santa Tecla

Questo accumulo di edifici sacri in pochi metri quadrati deve essere qualcosa di tipico del periodo tardo imperiale.
Una sorta di quartiere – enorme rispetto alle dimensioni della città di allora – superspecializzato, interamente dedicato all’esercizio del culto cristiano.

L’avevo già notato a Castelseprio, ma per me la logica di questi accumuli ecclesiastici resta un enigma.

Devo avere una casa per andare in giro per il mondo, Milano Romana

L’IMPERO COLPISCE ANCORA – DI STRADE, DI MURA E DI COLONNE

Andare in cerca delle tracce dell’impero romano nella città di Milano richiede più di uno sforzo.

Nella ricerca, prima di tutto: l’elenco dei reperti, la loro posizione e soprattutto gli eventuali orari di visita sono un segreto ben custodito.
C’è il Museo Archeologico di Corso Magenta, certo, ma ci sono anche cripte e giardini di chiese, la camera di commercio, i sotterranei di una biblioteca, e poi stazioni della metropolitana, garage, cantine e persino un ristorante.

Ma non è finita qui. Anzi.
Lo sforzo maggiore è quello d’immaginazione.

Ciò che rimane è spesso minimo, quasi invisibile all’occhio inesperto.
Oppure è inglobato, cannibalizzato dalle strutture successive, parte di un paesaggio quotidiano, talmente abituale per noi che lo abitiamo da non lasciar trasparire la memoria antica.

In più, fino a pochi decenni fa, ogni traccia fisica dell’antica capitale imperiale era persa, nascosta, inaccessibile.

Mediolanum è stata una città monumentale, sfarzosa, ma nei secoli le sue strade e i suo palazzi sono stati duramente colpiti dall’abbandono e dalle distruzioni.

Prendete il Teatro, ad esempio. Oggi è completamente distrutto, ma è documentato come fino all’anno mille accogliesse nella sua cavea i cittadini del comune in assemblea.
Ma poi ci fu quella brutta faccenda dell’Imperatore Federico e della Lega Lombarda…

Insomma: a parte qualche dipinto o qualche resoconto medievale, fino a pochissimi anni fa non c’erano documenti concreti a descrivere l’antica struttura cittadina.

Oggi, per farla breve, abbiamo per lo più sassi. Muri perimetrali, fondamenta, lacerti di pavimento, mezzi metri di strada e cocci vari.
Anche con la più fervida immaginazione non è facile immergersi nella scena.

Un ultimo sforzo, poi, riguarda solo me ed è quello di decidere il criterio secondo cui ordinare il mio racconto.

Il mio viaggio attraverso la romanità milanese è stato episodico e del tutto privo di sistematicità.
In un pomeriggio sono passato da strade repubblicane al circo di Massimiano alle basiliche del tardo impero e ritorno.

L’Enciclopedista che è in me vorrebbe farvi percorrere un percorso diacronico: dai resti più antichi sino alle invasioni barbariche.
Bellissima idea, eh? Peccato che vi obbligherebbe a girare avanti e indietro come trottole. A pagare sei volte il biglietto del museo o dell’ antiquarium e ad impazzire dietro agli – assurdi – orari di apertura di alcuni siti.

E, allora, mi tocca optare per un compromesso necessario: addoterò un criterio diacronico all’interno del singolo sito, ma ragioni di prossimità e di praticità mi porteranno a saltare di secolo in secolo avanti e indietro.

IL FORO

Svetonio e Plutarco, per primi, descrivono il foro di Mediolanum, che sarebbe stato lodato dallo stesso Cesare nonostante fosse adornato una statua di Bruto.

Il foro di Milano, come lo descrivono gli archeologi, sarebbe una piazza rettangolare piuttosto grande, contornata da edifici commerciali muniti di portici. Una tipologia descritta già da Vitruvio e attestata un po’ in tutta italia, che sarebbe passata praticamente invariata in quello che è l’archetipo della piazza porticata dell’Italia settentrionale ancora oggi.

Una piazza. Uno spazio pubblico aperto e vissuto.
E proprio per questo soggetto al mutamento. Se fosse stato un edificio monumentale, Oggi forse ne sapremmo di più.

Invece la piazza è mutata nei secoli insieme alla città fino a perdere progressivamente di importanza quando il centro nevralgico di Milano si è spostato poche centinaia di metri più in là, dove oggi è la piazza del Duomo. Lo spazio vuoto è stato riempito da nuovi edifici: dalla Chiesa di San Sepolcro, dall’odierna Biblioteca Ambrosiana.
La memoria e le tracce archeologiche della piazza, così, sono andate perse.

Solo negli ultimi decenni del secolo scorso, nella cripta della chiesa e nei sotterranei dell’Ambrosiana sono state ritrovate le lastre della pavimentazione della piazza. Ed è ancora più recente la decisione di rendere questi reperti accessibili al pubblico.
Accessibili, diciamo, ad un pubblico davvero determinato.
Non è facilissimo Infatti individuare la porticina, sul lato destro dell’Ambrosiana, che permette di scendere nei sotterranei dove sono conservati i lastroni.
Ancora meno facile e capire dove si acquistano i biglietti e quando i reperti siano accessibili.

[Le risposte a queste domande: dovete raggiungere la cripta di San Sepolcro che sta sul lato opposto dell’edificio di fianco alla chiesa ed è aperta “soltanto la sera”, come dice lo slogan. Qui con €3 potrete comprare il biglietto per gli scavi del foro, spendendo qualcosa in più avrete accesso anche alla cripta.]

0023 - Lastricato del Foro

La volontaria dell’ambrosiana con cui ho parlato stamattina me l’aveva detto:
“Guardi Io devo essere sincera, sono poco più che delle pietre.”

Aveva ragione.
Ma del resto che senso avrebbe avuto aspettarsi qualcosa di diverso?
I resti della pavimentazione di una piazza difficilmente possono apparire diversi da quello che sono.
Qui, in compenso, ho la dimostrazione della grandezza dell’ingegneria romana.
Questo selciato ha duemila anni e ha subito gli insulti del tempo, delle guerre e delle distruzioni, ma è messo molto meglio del pavè di Corso di Porta Romana!

Quello che mi stupisce, non positivamente, è l’allestimento.
Se è vero che siamo in una cantina, schiacciati tra il locale caldaie e un magazzino, è anche vero che lo spazio è stato reso accessibile nel 2009. Mi sarei aspettato un apparato un po’ più coinvolgente di un solitario pannello di perspex con qualche didascalia.
Ma è meglio questo di una porta chiusa, certo, e poi qui non viene mai nessuno e non devo combattere con i pullman di turisti in gita per vedere qualcosa e sdraiarmi a terra per fotografare i miei quattro sassi.

0024 - Lastricato del Foro

LE MURA REPUBBLICANE E LE COLONNE DI SAN LORENZO

Sebbene al tempo di Cesare, quando ai suoi abitanti fu riconosciuto il diritto alla cittadinanza romana, Mediolanum fosse ormai distante dal fronte della lotta contro i Galli, le autorità decisero di dotare la città di una cinta muraria imponente, che la proteggesse da attacchi esterni e allo stesso tempo ne testimoniasse la prosperità.

Alte una decina di metri, le mura erano fatte di laterizio e pietra di Saltrio e, si suppone, rinforzate da un terrapieno interno.
È strano pensare che i pochi resti delle Mura che sancivano il confine tra città e la campagna oggi siano considerate in pieno centro, considerando il fatto che Mediolanum era piuttosto grande per gli standard del suo tempo.

0005 - Torre del Carrobbio

Delle Mura repubblicane non resta quasi nulla. Soltanto una torre, ben nascosta in mezzo a dei brutti edifici novecenteschi.
Sono 36 anni che attraverso questa piazza e non avevo mai pensato che quel piccolo edificio di mattoni che spunta sul retro di un palazzo potesse essere così antico.
E invece…
Raggiungete Largo Carrobbio e infilatevi nel parcheggio dell’hotel Ariston. Dietro quel cartellone pubblicitario dove oggi campeggia un sosia brutto di Liam Gallagher vedrete che il retro del palazzo che ospita il ristorante Pane e Vino ha una forma decisamente particolare.
Si tratta, come detto, di una delle torri della cinta muraria più antica di Milano.

0006 - Hotel Ariston

Poligonale, come spesso sono le torri romane.
L’interno è visitabile del ristorante ma, oggettivamente, non c’è granché da vedere.
Altrove, forse, avrebbero costruito una narrazione molto più forte, avrebbero messo in evidenza il prezioso resto, ne avrebbero fatto un motivo di vanto; ma per qualche motivo che non ho mai capito Milano ha praticamente cancellato la propria storia antica.

Dal punto di vista filosofico, devo dire, mi piace molto questa stratificazione storica.
Mi piace il fatto che l’antica torre sia stata inglobata nel tessuto edilizio della città e continui a vivere con una nuova funzione.
D’altro canto ho sempre trovato il Carrobbio una delle piazze più brutte di Milano, e l’hotel Ariston in particolare una mostruosità. Soprattutto per questo orrendo parcheggio e per il cartellone pubblicitario, che trasformano la piazza in una sorta di svincolo triste e malconcio degno della periferia della più triste delle cittadine di provincia della Pianura Padana.

A due passi da qui la Basilica di San Lorenzo Maggiore, di cui parleremo una prossima volta, e il monumento romano più famoso e più farlocco della città: le colonne di San Lorenzo.
Dico farlocco perchè il colonnato è lì sin da quando esiste la chiesa – VI secolo d.C. – ma ha sempre avuto una pura funzione scenica. Le colonne sono prese di peso da un edificio di almeno tre secoli prima ed inserite in una struttura di mattoni cosruita ad hoc per decorare la piazza.
Una quinta, uno scenario che ha saputo resistere imperterrito ai secoli, alle guerre e alle mutazioni della città.

0004 - Piazza San Lorenzo

La zona di Porta Ticinese, prima della seconda guerra mondiale, era una zona popolarissima, povera, fatta di case di ringhiera ed osterie. E forse è per questo che dopo la guerra, dagli anni ’60, è stata il centro delle controculture che si sono susseguite.

I fricchettoni, gli autonomi, i punk, i metallari, i bboy… Tutti sono passati di qui, per tutti l’appuntamento era – ed è – semplicemente in Colonne.

0001 - Colonne di San Lorenzo

Con centinaia di persone che ogni giorno si siedono sul basamento a parlare, fumare, bre e fare casino, da qualche anno il Comune ha iniziato a preoccuparsi per l’incolumità del monumento. Peccato che per proteggere le colonne si sia scelto di utilizzare le maledette transenne da concerto, brutte e pericolose, che quando non sono montate vengono lasciate lì, addossate al colonnato come se fosse un magazzino.
Come se non bastassero l’eterno cantiere e gli orrendi palazzi anni ’50 che, al di là delle rotaie, sembrano quasi minacciare la piazza.

0003 - Base a San Lorenzo

LE MURA MASSIMIANEE, IL CIRCO, IL PALAZZO IMPERIALE

Quando nel 286 d.C. Massimiano – Augusto d’Occidente – elegge Mediolanum a sua residenza, si pone il problema di adeguare la città al suo nuovo rango di capitale de facto dell’Impero.

Gran parte del quadrante Sud Ovest viene stravolto per fare posto al nuovo Palazzo Imperiale ed al Circo ad esso collegato, mentre una nuova cerchia di mura, più ampia e più robusta, protegge la città.

Il punto privilegiato per iniziare l’esplorazione dei reperti di questo periodo è, indubbiamente, il Museo Archeologico di Corso Magenta.
Dopo aver visitato la prima sala, ricca di reperti e di ricostruzioni utili a comprendere meglio il contesto in cui ci stiamo muovendo, uscite nel cortile dell’edificio e godetevi quelli che sono i reperti meglio conservati dell’antica Mediolanum.

0001 - Domus di San Maurizio

Al centro del giardino, parecchi metri sotto il piano stradale, quel che resta di un’opulenta Domus obliterata per fare posto al palazzo di Massimiano.

A destra, accessibile dall’ala moderna del museo, un imponente Torre poligonale di mattoni rossi che faceva parte della cinta muraria imperiale.

Torre di Ansperto

Inclusa nel perimetro del Monastero Maggiore, la torre è stata probabilmente utilizzata come cappella e al piano terra è possibile vedere un un affresco tardo medievale, di autore ignoto, che rappresenta San Francesco che riceve le stimmate, una crocifissione è una teoria di santi.

San Francesco riceve le stimmate e teoria di Santi nella Torre di Ansperto

Al piano superiore rimango a bocca aperta ammirando il contrasto tra la struttura irregolare – un poligono di 18 lati- dell’esterno della torre e la perfetta circolarità del suo interno.

Soffitto della Torre di Ansperto

A sinistra, addossata alla chiesa di San Maurizio, un’alta Torre quadrata fu in epoca imperiale una delle due torri del circo.
Massimiano amava le corse dei carri. O più probabilmente era un mezzo tamarro a cui piaceva apparire.
Fatto sta che proprio da una di queste torri l’imperatore poteva passare direttamente dalle sale del palazzo alla tribuna del circo per esporsi agli occhi del popolo adorante.
Quando il circo, ormai in disuso, fu distrutto, la torre potè salvarsi perchè fu riutilizzata come campanile della chiesa di San Maurizio al Monastero.

Torre del Circo e Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore

Di San Maurizio, che si contende con la Certosa di Garegnano il titolo di Cappella Sistina di Milano, vi parlerò nel dettaglio se e quando riuscirò a fare delle foto decenti, ma già che siete qui voi non perdetevela assolutamente!

Aurelio Luini - Arca di Noè

A pochissimi metri dal museo, in via Brisa, si trovano invece resti del palazzo imperiale vero e proprio. Sono stati individuati negli anni 60 durante dei lavori stradali e oggi sono visibili da una balaustra sulla strada.
Per tutta la mia giovinezza la piazza in cui si trovano i resti del palazzo è stata un cantiere.
Uno di quei vuoti urbani di cui il centro della città è pieno, lasciati dalle bombe della guerra, dalle inadempienze del piano regolatore degli anni ’30 o dal fallimento di qualche palazzinaro.
Uno di quei cantieri apparentemente eterni che costellavano Milano tra gli anni 80 e gli anni 90 e che, una volta rimossi, ti lasciano spaesato da quanto le loro palizzate erano ormai parte del paesaggio.
Tanto spaesato che, quando l’altra settimana son passato di qui con un paio di amici, non riuscivo più a raccapezzarmi. Dove siam finiti? Da che parte dobbiamo andare andare? Ci abbiamo messo un bel cinque minuti a capire che questa bella piazza circondata da palazzi di lusso era quel labirinto di griglie e pareti di compensato a cui eravamo abituati.

Il mio percorso, da qui, prosegue verso il Duomo e la Statale, ma per oggi il racconto di ferma qui.

Devo avere una casa per andare in giro per il mondo, Milano Romana

L’IMPERO COLPISCE ANCORA – INTRO

Fondata attorno al 590 a.C.da un gruppo Celti Insubri di Golasecca.
Conquistata dai Romani nel 222 a.C. e resa Municipium Civium Romanorum da Cesare nel 49 a.C.
Residenza imperiale e capitale dell’Impero Romano dal 286 al 402 d.C.

[Luce in sala]
Alzi la mano chi sa di quale città sto parlando.
Sì, là in fondo… No, mi spiace, non è Aquileia.
Sì, prego… Sì, lei con il maglione rosso… No, non è nemmeno Ravenna.
Come? Aosta? Vabbè, ma state tirando a indovinare!
Milano.

[Brusio e incredulità]

Milano, spesso ce ne si dimentica, fu residenza dell’Imperatore, e quindi capitale de facto, dai tempi di Diocleziano sino al periodo delle invasioni barbariche.
Proprio qui Costantino emanò l’editto di tolleranza religiosa del 313 d.C. che spianerà la strada all’affermazione del Cristianesimo in Europa.
Teodosio I aveva qui la sua residenza e l’influenza di Ambrogio di Treviri – vescovo della città – fu determinante nel convincerlo a rendere obbligatorio il culto cristiano ed illegale qualsiasi altra religione.
Ok, ok, non si può dire che Milano abbia legato il suo nome alle pagine più edificanti della storia imperiale.

Ma di tutto questo girando nel centro di Milano non si trova quasi traccia.
Strette stradine medievali, archi gotici, palazzi nobiliari del settecento, un castello rinascimentale… Nel centro di Milano sembra esserci di tutto meno che le vestigia di un passato romano.
Verrebbe da credere che a un certo punto la città si sia trasferita, spostata di qualche kilometro dal suo sito originario.
Come capita quando un paese viene distrutto da una frana o da un terremoto. È successo a Gibellina, a Bussana, a Erto.
Dove c’era il vecchio abitato non c’è più niente e dove c’è quello nuovo le tracce del passato non esistono.

Soffitto della Torre di Ansperto

Naturalmente non è quello che è successo a Milano.
Non solo Milano non si è mossa di un centimetro, ma il centro nevralgico della città moderna è pressoché sovrapposto a quello della città romana.

E a ben vedere non è neanche vero che le tracce del passato antico siano scomparse. Sono solo ben nascoste.
Alcune, come il foro, il palazzo imperiale o il teatro sono state sostituite da altri edifici che oggi rendono impossibile leggere l’antica struttura ma altre, forse quelle meglio nascoste, sono davanti a noi. In bella mostra.

La Pianura Padana è povera di pietra.
Sabbia ne abbiamo quanta se ne vuole grazie ai nostri fiumi, e anche argilla per fare i mattoni che hanno definito il linguaggio del nostro Medioevo; ma pietra, quella no, quella non ce l’abbiamo.
Bisogna portarla dalle Cave di Candoglia, di Ornavasso, di Saltrio.
Bisogna che ogni singolo blocco viaggi dalla cava alla città per decine di kilometri su carri fragilissimi o su barconi che rischiano il naufragio.

È per questo che nell’Alto Medioevo i Milanesi hanno preso le pietre dove le trovavano.
Prima i templi, abbandonati assieme ai loro Dei. Poi il palazzo, il circo, il foro…
I monumenti imperiali in rovina sono diventati cave a cielo aperto.
Una pietra qui, un fregio lì. Quelle colonne mettile lì davanti alla chiesa che stanno bene, quella torre lasciala stare, che ci facciamo un campanile…

0005 - Stele funeraria dei Servili

La memoria si è persa ma le pietre di allora sono – letteralmente – le fondamenta della città di oggi.

E allora ho deciso, anche in onore di quella collega romana a cui è dedicato tutto il mio lavoro su Milano, di andare in cerca di quelle pietre, di quelle tracce di un antico passato dimenticato.