LA TOSCANA LOMBARDA

Circa 140 km, più altrettanti perchè mi sono perso 30 volte

La provincia di Varese è quel posto in cui una località con due stelle sulla guida verde del Touring non è indicata sul cartello di uscita della tangenziale.
Sai mai che qualcuno da fuori voglia venire a dare un occhiata. Magari persino un – Dio ce ne scampi – Meridionale…
Ma per fortuna il vostro Motografo di fiducia (che essendo nato a Milano per i Varesotti è un Meridionale) è qui per rimediare dandovi tutte le indicazioni del caso.
Per raggiungere Castiglione Olona – da Milano – dovete Prendere la A8 uscendone a Gazzada per poi rientrare immediatamente in autostrada sulla A60 (occhio: non ha i caselli ma si paga) in direzione di Gazzada/Ponte di Vedano fino a Vedano Olona.
Uscite e, alla rotonda, proseguite sulla Varesina (SP233) in direzione Milano/Tradate.
Fate ancora qualche kilometro e, finalmente, ecco Castiglione.
Non c’è di che.

Ok, ma voi vi starete chiedendo cosa diavolo abbia di così straordinario Castiglione Olona per meritarsi due stelle sulla Guida Verde della Lombardia.
Per capirlo bisogna tornare al 1425 quando il Cardinale Branda Castiglioni, un arzillo 75enne protagonista delle principali vicende spirituali e temporali del suo tempo, torna al suo paesello natale nella Valle dell’Olona e lo trasforma in pochi anni nel primo centro dell’architettura umanistica e rinascimentale in Lombardia.

Borgo - Arco

Per rendersi conto di ciò di cui stiamo parlando bisogna tener conto del fatto che in quel momento la cupola del Duomo di Firenze non era ancora terminata, Leon Battista Alberti e il Filarete avevano 20 anni o poco più mentre Bramante e Leonardo non erano nemmeno nati.
L’architettura lombarda in quel periodo è ancora pienamente medioevale. I grandi capolavori della versione locale del gotico sono, si può dire, ancora moderni. Il Duomo di Milano è appena all’inizio della sua vicenda costruttiva (conclusa solo negli anni ‘30 del ‘900), tanto che l’altar maggiore è stato consacrato, proprio da Branda, solo sette anni prima.

È in questo contesto che Branda inizia il suo programma di riedificazione e infatti la Collegiata – il primo degli edifici voluti dal Cardinale – ha ancora un aspetto sostanzialmente medioevale, con la sua facciata a capanna su cui si aprono monofore ancora a sesto acuto.
Eppure già il portale di ingresso – datato 1428 – inizia a parlare una nuova lingua grazie alla sua lunetta a tutto sesto che richiama, alla mia mente di profano, le architetture che fioriranno a Milano 50, anche 100 anni dopo.

Collegiata - Facciata

Ma se la struttura è ancora fondamentalmente gotica, è il suo apparato iconografico a fare un balzo in avanti aprendo, nei fatti, il Rinascimento lombardo.
Le opere di Paolo Schiavo, del Vecchietta e soprattutto il ciclo della Vergine di Masolino da Panicale – protegée di Branda che lo aveva conosciuto in Boemia – portano in Lombardia la prospettiva, la composizione spaziale e la ricerca dell’illusionismo dei maestri della pittura Toscana del tempo.

Collegiata - Scene della vita della Vergine - Masolino da Panicale

È sempre Masolino ad affrescare il battistero annesso alla chiesa.
Sebbene molto rovinato – specialmente sulle pareti nord e ovest – il ciclo di affreschi sulla vita di Giovanni Battista dimostra tutta la maestria e la novità della pittura di Masolino.
Il Battesimo di Cristo, al centro vale da solo il prezzo del biglietto (6€, più altri 6 per il biglietto fotografico).

Battistero - Battesimo nel Giordano - Masolino da Panicale

Battistero - Figura di moro - Masolino da Panicale

Nei pochi anni tra l’avvio dei lavori della collegiata (1425) e la morte di Branda (1443) Castiglione è un cantiere continuo che neanche Milano prima di Expo 2015.
Il palazzo, prima di tutto. Su una struttura trecentesca Branda fa edificare un nuovo corpo caratterizzato da un decoro geometrico e da una delicatissima loggetta da cui si domina la piazza centrale del paese.

Palazzo Branda - Facciata

Il palazzo è stato grandemente rimaneggiato nei secoli (notevole una sala con affreschi neogotici di inizio ‘900 nella zona della quadreria), ma nella loggetta e nelle sale note come la camera da letto e lo studio del Cardinale gli affreschi originali quattrocenteschi sono perfettamente conservati e sorprendono per la grazia e la potenza.

Palazzo Branda - Natura Morta - Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta

Palazzo Branda - Camera da letto 4

Gli affreschi a tutta parete, dal soffitto al pavimento, mi stupiscono sempre e quello della camera da letto (dove probabilmente Branda non dormiva affatto) è particolarmente impressionante. La fascia principale è, ai miei occhi, di una modernità incredibile grazie all’effetto “cut-off” dato dagli alberi neri, bidimensionali, che si stagliano su un rosso brillante incredibile.

Palazzo Branda - Camera da Letto 5

Ma il gioiello vero è nella piccola stanza accanto, lo “studio”: Sopra a due splendidi mappamondi seicenteschi, è di nuovo Masolino da Panicale a strappare gli applausi con il suo paesaggio montano (o paesaggio ungherese) del 1435.

Palazzo Branda - Paesaggio montano - Masolino da Panicale

Oltre alla collegiata e al palazzo Branda fece costruire fortificazioni, un ospizio per i poveri, una scuola di musica e grammatica, altre residenze per i suoi parenti, tutto in uno stile coerente che rese Castiglione straordinariamente simile ad una cittadina toscana coeva.

Chiesa di Villa - San Cristoforo - (Scuola di) Jacopino da Tradate

È proprio sulla piazza, esattamente davanti alla splendida loggetta del palazzo cardinalizio, che si trova la più impressionante testimonianza di modernità architettonica del borgo lombardo.
Se il palazzo e la collegiata stupiscono soprattutto con la decorazione pittorica, infatti, la Chiesa di Villa lo fa con forme inusuali che mescolano una evidentissima influenza fiorentina (si ipotizza una consulenza del Brunelleschi stesso) con stilemi della tradizione lombarda.

Chiesa di Villa - Sant'Antonio Abate - (Scuola di) Jacopino da Tradate

E chi può essere l’artefice di questa costruzione?
Bravi. Il solito Masolino da Panicale stavolta veste i panni di architetto coadiuvato da Matteo Raverti, autore delle statue ciclopiche (i santi Cristoforo e Antonio abate) che sorvegliano il grande portone d’ingresso e vigilano sulla piazza dove, mentre visito il paese, stanno allestendo il concerto della banda.

Chiesa di Villa - La Vergine delle Grazie - Galdino da Varese

Stavo quasi per andarmene senza visitare il [MAP] Museo di Arte Plastica, che sospettavo cagata pazzesca, ma ho fatto bene a cambiare idea.
È stata la tirchieria a convincermi. Nel biglietto del Palazzo del Cardinale (3€) è compresa la visita al Museo, e non vorremo mica buttar via un ingresso ormai pagato, no?

La sede è un piccolo palazzo a poche centinaia di metri dalla piazza, appartenente a un ramo cadetto della famiglia Castiglioni. La decorazione delle pareti della parte bassa del grande ambiente centrale, quasi un clone di quella della camera da letto del Cardinale, testimonia il profondo legame tra i due palazzi, ma le sale oggi sono usate per rendere omaggio a un’arte molto più moderna.
Castiglione è sede di un’industria plastica (la Mazzucchelli) che tra il ‘69 e il ‘71 organizzò delle residenze artistiche per sperimentare, assieme ad alcuni tra i più grandi artisti del tempo, le potenzialità della plastica come materiale scultorio.

MAP - Boule sans neige 2

Tante opere sono, onestamente, banalotte.
O meglio, a me che sono abbastanza critico nei confronti di tutta l’arte influenzata dalla Pop Art e dall’idea della riproducibilità meccanica delle opere sembrano banalotte.
Molti pezzi, ad esempio i “guardoni” di Valentina Berardinone, mi paiono più che altro oggetti decorativi, pezzi di design privati della loro utilità pratica (i dialetti lombardo-occidentali sintetizzano questo concetto nella splendida parola ciapapulver).
Al limite mere sperimentazioni sulla tecnica della lavorazione della plastica che non opere compiute, ma questa è una sensazione epidermica e onestamente, senza conoscere bene la vicenda dei singoli artisti e di Polimero Arte, mi sento obbligato a sospendere il giudizio e a dirvi di venire di persona a visitare il museo.

Ci sono opere che, però, riservano piacevolissime sorprese. La “Boule sans Neige” di Man Ray, ad esempio, ma anche il “Ritratto di Max Ernst” di Enrico Baj e soprattutto – a mio personalissimo gusto – il “Cubo Graffito” di Anna Marchi, la cui superficie satinata esplora le possibilità materiche di un materiale che nei primi anni ’70 era ancora tutto sommato nuovo, almeno per il mondo dell’arte.

MAP - Anna Marchi - Cubo Graffito 1

S’è fatto tardi, ormai, e io ho esplorato ogni singolo centimetro visitabile di quella che – secondo una fortunata definizione di quel genio del copywriting di Gabriele D’Annunzio – è “un’isola di Toscana in Lombardia”.

Ma la mia giornata varesotta non è ancora finita.
Per l’ennesima volta so di essere a pochi kilometri dagli scavi archeologici di Golasecca e, oggi, non ho intenzione di farmeli scappare.

Sapete tutti che, a partire dagli anni ‘80, in Provincia di Varese ha iniziato a svilupparsi un movimento politico che, a dispetto dell’essere oggi capitanato da un milanese che si è fatto eleggere a Reggio Calabria, metteva la specificità culturale – persino etnica – del Nord Italia al centro della sua ideologia, arrivando a fare della resistenza celtica all’avanzata dell’impero romano nella Pianura Padana il proprio mito fondativo.
Un movimento, va ricordato, che è stato al governo della Provincia ininterrottamente dal ‘93 al 2014 e poi di nuovo dalla fine del 2018.

Sapendo che sul territorio provinciale sono presenti importantissimi lasciti di una civiltà, quella di Golasecca, pre-romana, autoctona, di probabili origini celtiche, ti aspetteresti una valorizzazione fin eccessiva.
Cartelli ed indicazioni in ogni dove, rievocazioni, musei etnografici con laboratori di ceramica protostorica, corsi di concia del cuoio con l’urina e seminari di cucina celto-lombarda con concorso finale che Masterchef levati…

E invece? E invece un cazzo.
Sarà che far gli scemi con l’elmo con le corna (che i Galli non portavano) e con il Sole delle Alpi (che si trova pure sugli stipiti delle porte di Ischia) è comodo, mentre una valorizzazione culturale di quel genere richiede studio, fatica e lavoro. E soldi, ovviamente.

Insomma, quando arrivo a Golasecca faccio una bella fatica a trovare l’area archeologica del Monsorino.

In verità ben due pedoni mi danno le indicazioni corrette: “dal centro del paese vai giù per la discesa, segui la strada principale e sotto il ponte dell’autostrada, vicino alla spiaggia del Ticino, troverai le indicazioni.”
Ecco, è quel “troverai le indicazioni” ad essere fallace, perché arrivando da Golasecca il cartello che indica la necropoli è completamente stinto, illeggibile.

Il cartello che (non) indica la necropoli del Monsorino

Solo al terzo tentativo, arrivando dalla direzione opposta, riesco a capire dove devo andare.
Parcheggio la moto sotto il ponte, in mezzo alle auto dei bagnanti, tra misteriose galline semiselvatiche, e mi incammino nel bosco su per il sentiero.
Superata la radura (anche qui nessuna indicazione, ma proseguite dritti) eccomi, finalmente, alla necropoli del Monsorino, il primo sito golasecchiano mai scoperto.

Necropoli del Monsorino - 3

La civiltà di Golasecca si estese, dal IX al IV secolo avanti Cristo, tra il corso del Sesia e quello del Serio, con il Ticino a fare da asse portante.
Presumibilmente di origine celtica, i Golasecchiani erano principalmente commercianti che operavano sulle rotte del sale fungendo da cardine tra gli Etruschi e le popolazioni del transalpine.
Da bravi commercianti, i Golasecchiani diedero un importante stimolo allo sviluppo “urbano” della zona fondando, a quanto pare, i primi nuclei di Milano e di Como.

E noi indichiamo i loro resti con un cartello stinto…

Qui al Monsorino sono stati ritrovate, a partire dall’800 svariate sepolture. I manufatti (urne cinerarie di vario tipo e corredi funebri) oggi sono conservati nei musei di Sesto Calende e Golasecca (entrambi fanno orari da motorizzazione civile, scordatevi di riuscire a visitarli nel finesettimana), mentre qui nel bosco rimangono visibili i cromlech che delimitavano le aree funerarie.

Necropoli del Monsorino - 4

Io lo so che alla parola cromlech avete tutti pensato a Stonehenge. Ecco, no. Qui si parla di pietre alte al massimo trenta, quaranta centimetri.

Una delle cose che mi sorprende sempre visitando i siti archeologici è il come i primi scopritori (l’abate Giani qui, Vittorino Cazzetta sul Mondeval e sul Monte Pelmo) siano stati in grado di distinguere l’anomalia in un paesaggio assolutamente normale.

Necropoli del Monsorino - 1

Passando di qui con occhio distratto, o semplicemente cercando altro (castagne, funghi) vi sareste forse resi conto dell’abbondanza di pietre che affiorano da questo prato ma, onestamente, avreste saputo riconoscere il pattern circolare dei cromlech, le linee parallele delle allee?

Adottando questo punto di vista converrete con me che questi piccoli cromlech valgono quasi più dei megaliti di Stonehenge. O no?

[ssba]

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