LE ABBAZIE DEL SUD-MILANO (PARTE SECONDA)

Circa 75 kilometri (più deviazioni) da Milano Centro o dall’Abbazia di Viboldone.

L’ABBAZIA DI MIRASOLE

C’è un modo molto facile di arrivare a Mirasole partendo da Viboldone.
Si prende la tangenziale, si esce ad Opera e si è subito lì.

E poi c’è il modo da stronzi. Che è infilarsi in un dedalo di stradine consortili bordate di fossi che – tra un senso unico e un’inspiegabile chiusura al traffico di un tratto di dodici metri – portano verso sud-ovest sino a incontrare la (ex) statale della Valtidone a Locate Triulzi per poi tornare verso Nord e raggiungere Opera, dove poi troverete le indicazioni per l’abbazia.

E io quale ho scelto?

Bravi, proprio quello! Ma ormai lo sapete, per avere qualcosa da raccontarvi non mi fermo davanti a nulla!

Il cielo su Opera

Come?
Avevate già fatto la prima metà del giro la scorsa volta e siete tornati a casa aspettando il seguito?
Ah, giusto… Colpa mia, scusate…

Per arrivare direttamente a Mirasole dal centro di Milano dovete prendere Via Ripamonti e raggiungere Opera. Appena superato il cavalcavia della Tangenziale, seguite lo svincolo per Opera Centro e Rozzano.
Da lì l’Abbazia è (relativamente) ben indicata.

Se solo fossi credente, arrivato all’abbazia correrei ad accendere un cero per grazia ricevuta per il fatto di non essermi schiantato al suolo proprio davanti all’entrata del complesso.

Invece mi limito a dedicare un pensiero di ringraziamento agli ingegneri della Kawasaki che hanno dotato Aiko di un avantreno stabilissimo, in grado di resistere a un mio improvviso sussulto, e a complimentarmi con me stesso per avere imparato a dominare almeno un po’ le reazioni inconsulte.

Dovete sapere che ho un rapporto più che conflittuale con le vespe.

Loro mi odiano e io le temo. Sono stato punto in ogni modo possibile, compresa una vespa sospinta dal vento e una in letargo, inspiegabilmente caduta da un vespaio, che ho calpestato scalzo.
Roba che nemmeno Fantozzi…

Oggi, arrivando qui, ho aggiunto un trofeo al mio palmares: ho travolto una vespa, risucchiandola all’interno della giacca – aperta sul petto –  e la stronza mi ha punto al costato.

0005 - Arco

***Nota Storica: L’abbazia risale al XIII secolo e fu fondata dall’ordine degli Umiliati.
In ossequio alla regola dell’ordine la struttura è produttiva, agricola, e solo poi un luogo di culto. Con la soppressione degli Umiliati, il complesso agricolo passò prima al Collegio Elvetico e poi al Policlinico. Restaurata dagli anni ‘80, nel 2013, dopo cinquecento anni, dei frati sono rientrati nell’abbazia ma – nonostante un contratto di 99 anni – probabilmente ne usciranno alla fine del 2016 poichè il loro numero è diminuito troppo e non sono in grado di occuparsi dello stabile.***

Da lontano Mirasole sembra una normale cascina a corte chiusa.
Un edificio basso, quadrangolare, con il muro esterno intonacato di bianco e il tetto di coppi.
Una specie di torrione di mattoni rossi segna l’ingresso principale all’aia e un basso campanile, sempre nel classico mattone pieno lombardo, segnala la presenza di una chiesa che, come accade spesso nelle frazioni rurali interamente racchiuse nella cascina, è integrata nel recinto dell’insediamento e si affaccia sull’aia come tutti gli altri edifici.

0004 - Esterno

Non ha davvero niente, insomma, di particolare.
Ed è proprio questo ad essere particolare!

Motografo, hai bevuto? Hai preso le tue goccine? Il veleno della vespa di ha dato alla testa? Ti rendi conto di essere diventato bipolare?

No, calma, lasciatemi…. Non voglio andare a riposarmi in una stanzetta imbottita, fatemi spiegare!

Gli umiliati erano un ordine pauperistico composto di monaci, laici e di intere famiglie che si aggregavano per vivere in conformità a una regola basata sostanzialmente sul lavoro come dovere morale. Il lavoro agricolo costituiva, quindi, la principale attività degli abitanti di una comunità, prevalente rispetto alla preghiera e alla vita contemplativa.

0002 - Panorama dell'aia

Mirasole, quindi, dimostra tutta la sua specificità di abbazia degli Umiliati proprio nel suo essere assolutamente identica alle altre cascine della bassa, in ossequio al principio di assoluta centralità del lavoro.

L’elemento ornamentale è quasi del tutto assente dalla struttura, eppure quel poco che c’è ha un’importanza simbolica notevole: il simbolo stesso della comunità – un sole raggiante inscritto in una falce di luna – è stato prima simbolo del Comune di Opera e poi della Provincia di Milano e della nuova Città Metropolitana.

0007 - Interni

0011 - Chiostro

DEVIAZIONE: LA CERTOSA DI PAVIA

Dal punto di vista formale la Certosa non rientrerebbe nel novero delle abbazie del territorio meridionale di Milano, visto che è in provincia di Pavia, ma già che sei a Opera basta fare una ventina di kilometri verso sud per arrivarci.
Vuoi lasciar perdere?

***Nota storica: fondata per volere del Duca Gian Galeazzo Visconti nel 1396, il complesso della Certosa è un capolavoro architettonico che mostra la transizione dallo stile gotico lombardo all’architettura rinascimentale vera e propria, specialmente nella bella facciata bianca. tanto rigorosa quanto riccamente decorata, che contrasta con il classico mattone rosso che imperversa nel resto del complesso.

Il monastero Certosino, grazie alla munificenza di Gian Galeazzo e dei suoi eredi, divenne proprietario di gran parte delle terre coltivabili tra Milano e Pavia. L’opera di bonifica e irregimentazione delle acque coordinata dai monaci della Certosa rese ben presto il monastero una potenza economica.

Soppressa dall’imperatore l’istituzione certosina (1782), il complesso fu brevemente abitato dai cistercensi, a loro volta cacciati dalla Repubblica Cisalpina.

Tra soppressioni e riaperture, l’abbazia viene abitata da a turno da Carmelitani e Certosini, che vi rimangono sino al 1946, quando decidono di abbandonare il complesso in seguito allo scandalo dei ritrovamenti dei resti del corpo di  Mussolini.

Oggi ad animare il sito sono i monaci cistercensi.***

Quella di Pavia è la Certosa per antonomasia, in Italia.
Ha dato il nome al paese in cui si trova e persino al formaggio (la sede storica della Galbani è qui a un tiro di sputo).

In tutta la struttura le fotografie sono vietate, sono giusto riuscito a rubare uno scatto della splendida facciata rinascimentale che trovate in copertina.

Quindi fidatevi di me: in un pomeriggio soleggiato di primavera sono poche le mete così belle a così poca distanza dal centro di Milano.

La struttura è estremamente affascinante, anche perchè è ancora abitata da un discreto numero di frati, tanto che non è difficile incontrarne qualcuno un po’ più loquace che abbia voglia di raccontarvi qualcosa della vita monastica.

Oddio, facendo un catalogo delle mie esperienze posso assicurarvi che essere accompagnati da fanciulle prosperose aiuta ad entrare in connessione emotiva con i monaci che passeggiano nel chiostro e a farseli amici.

Venendo da solo non mi sono mai visto indirizzare nemmeno un saluto…

È triste ma va detto: qui, come a Chiaravalle, il negozio dei monaci è davvero deludente.
Uno si addentra tra gli scaffali certo di trovare l’amaro miracoloso, la marmellata di frutti antichi di cui mai aveva sentito parlare o la conserva di ortaggi più buona del mondo e, invece, trova pochi prodotti, costosi e per lo più provenienti da fuori.
Spesso roba che si trova comodamente – e a un paio di euro meno – in qualche negozio in città.


L’ABBAZIA DI MORIMONDO

Sono piccole strade tra i campi quelle che si percorrono per arrivare qui partendo da Certosa di Pavia. Si risale lungo la statale dei Giovi fino a Giovenzano, quando la si lascia per procedere verso ovest attraverso Vellezzo Bellini, Rera, Torradello e Trivolzio fino a Bereguardo.

Abbazia di Morimondo -  Le terre dell'abbazia

Qui si riprende una strada appena più grande per risalire verso Nord-Ovest in direzione Abbiategrasso.
Se invece siete partiti direttamente da Mirasole, ignorando i miei consigli, prendete la tangenziale e poi la A7 per Genova. Uscite a Binasco e puntate subito su Santa Corinna di Noviglio.
Gli appassionati di design qui troveranno anche il museo Kartell.

Oltre Motta Visconti si incontra Besate.
Se è una giornata calda potreste approfittarne per fare un centinaio di metri su una facile carrabile di ciottoli ed andare in località Zerbo a prendervi un caffè alla casettina degli Amici del Ticino, a prendere il sole e farvi un bagno.

Per me questa è la spiaggia di casa, tutti i weekend di primavera capito qui, ma attenzione!

Il Ticino è un fiume subdolo. Ogni anno si porta via almeno un paio di bagnanti. Se decidete di tuffarvi state estremamente attenti, non allontanatevi dalla riva e restate dove si tocca!

In alternativa potreste seguire uno dei sentieri che partono dalla spiaggetta e si inoltrano nel bosco lungo gli argini. Quello verso monte (alla vostra destra) raggiunge un’altra insenatura dalle sponde fangose dove gli anziani della zona ormeggiano le barchette da pesca e dove spesso si avvistano aironi e gallinelle. Invece seguendo la corrente (verso sinistra) presto si piega nell’interno, inoltrandosi in un bosco a tratti quasi impenetrabile. Dopo qualche centinaio di metri si sbuca in una radura – forse un pascolo – dove ho spesso incontrato delle grosse lepri selvatiche.

Tornate indietro costeggiando il bosco e sbucherete alle spalle del baretto dove avete posteggiato.

Vi siete asciugati? Perfetto, rimettetevi in moto seguendo sempre per Abbiategrasso.

Il primo abitato che incontrate è Fallavecchia di Morimondo.

Val la pena di farci una sosta (oltre che per la buseca della trattoria Lupi) per vedere come era fatta una grangia dell’abbazia.

A parte l’isolato di case esterno, costruito pochi anni fa, la cascina ha mantenuto le sue forme storiche, chiusa su tre lati e aperta sui campi e il fiume verso ovest.

Un paio di volte l’anno la cascina prende vita. Nell’aia il liscio più tradizionale liscio e l’immancabile salamella si alternano con spettacoli teatrali ed installazioni artistiche realizzate con i materiali del fiume e del bosco in un insieme armonico, grazie all’organizzazione del Teatro Pane e Mate.

E l’abbazia? E Morimondo?

Morimondo è qui, dietro l’angolo.

Abbazia di Morimondo -  Arrivando all'abbazia

Proseguendo ancora verso Abbiategrasso, dopo un saliscendi – l’unico cambio di pendenza di tutto questo giro – superate Basiano, un’altra grangia dell’abbazia, e in poco più di tre kilometri ci arriverete.

Abbiate cura di parcheggiare negli spazi segnati, l’abbazia è una meta turistica molto frequentata e le multe al turista indisciplinato rappresentano la prima fonte di entrata del comune. Lo splendido stato delle case, delle strade e del complesso monastico stesso vi fanno capire quantro ingenti siano, queste entrate.

Abbazia di Morimondo -  Il grande sagrato

***Nota storica: i monaci cistercensi che nel 1134 hanno fondato l’abbazia provenivano dall’abbazia francese di Morimond, nell’alta Marna. Dopo un paio d’anni di lavori monaci occupano i primi edifici mentre proseguono la costruzione dell’abbazia che culminerà con l’edificazione – tra il 1182 e il 1296 – della grande chiesa.

Abbazia di Morimondo -  Facciata

Questo ritardo nella costruzione, insieme alla lunghissima durata dei lavori, fa sì che la chiesa della prima abbazia cistercense in Lombardia sia anche una delle più “moderne”in cui gli stilemi gotici si mischiano con le classiche forme romaniche.
Soppressa in periodo napoleonico (e quando mai) sarà rilanciata prima dal solito Ildefonso Schuster e poi da Carlo Maria Martini.***

È inutile che vi racconti cosa vedrete. Io non sono Alberto Angela e le mie parole possono aggiungere ben poco alle foto. Però mi sento di darvi un consiglio: dopo aver visitato gli interni rigorosi, seguite la strada che scende verso i campi. Non tanto e non solo per godervi la fertile pianura lombarda al suo meglio, quanto per osservare il lato “monastico” dell’abbazia.

Costruita sul culmine di una piccola collina, la struttura sfrutta il pendio per posizionare tre piani di “servizi” (refettori, celle, studi) al di sotto del piano del chiostro.

Il complesso visto da sud appare quindi imponente, quasi fortificato.

Abbazia di Morimondo -  La parte monastica

Il vostro giro potrebbe finire qui.
Potreste tornare verso Milano lungo la vecchia Vigevanese, seguendo il corso del Naviglio Grande o potreste chiudere in bellezza e organizzare una cena alla Cascina Selva di Ozzero (Ma pensi solo a mangiare? Sì! E allora?!?).

Ma se invece vi è avanzato ancora un po’ di tempo, potreste aggiungere un’ultima deviazione:

DEVIAZIONE: LA CERTOSA DI GAREGNANO

Tornando a Milano, infatti, potete allungare leggermente il tragitto per fermarvi in un luogo ignoto ai più nella periferia nord-ovest della città.

Via Garegnano è l’archetipo della periferia povera. Case vecchie ma non antiche, con uno stato di manutenzione precario, schiacciate tra un enorme asse di penetrazione (viale Certosa) e i cavalcavia dello svincolo autostradale, probabilmente il più grande e trafficato della Regione.

Eppure è proprio qui che si nasconde un piccolo capolavoro che si contende con la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore il titolo di Cappella Sistina di Milano.

Panorama

***Nota storica: fu il Signore ed Arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, nel 1349, che volle stabilire una comunità di monaci certosini nel territorio del borgo di Garegnano, allora a più di quattro kilometri dalle mura, ma quella che vediamo oggi non è la stessa struttura. Completamente ristrutturata alla metà del ‘500, e poi ancora rimaneggiata nel ‘700, la chiesa si presenta in forme miste rinascimentali e barocche, ma il suo vero punto di interesse è l’incredibile ciclo di affreschi che copre ogni possibile spazio dell’unica navata interna, dipinto in due fasi da Simone Peterzano (nel 1578) e poi da Daniele Crespi (nel 1629).
Soppressa in periodo napoleonico e poi utilizzata come caserma dagli austriaci, la Certosa oggi ha perso il chiostro grande. Al suo posto, stavolta, non i binari del treno come a Chiaravalle, bensì il mostruoso svincolo dell’autostrada che lambisce l’abside della chiesa.***

Abside

A Milano sono pochissimi quelli che la conoscono. La maggior parte di noi si chiede come mai un vialone che sembra una specie di autostrada porti il nome di Certosa, visto e considerato che non porta certo alla Certosa di Pavia.

(No, in realtà non se lo chiede nessuno. Ci limitiamo a prenderne atto e disinteressarcene).

offitto

E invece il motivo c’è: mutilata (e quando mai) del suo grande chiostro, assediata da brutta edilizia e svincoli micidiali, la Certosa di Garegnano è qui da più di seicento anni, da prima che venisse fondata quella di Pavia.

Francesco Petrarca, legato all’ordine certosino grazie al fratello Gherardo, fu spesso ospite dell’abbazia, che è la più antica delle Certose lombarde, seppure dell’originaria struttura trecentesca che lo ospitò oggi non rimanga niente.

Affreschi

[ssba]

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