L’IMPERO COLPISCE ANCORA: PANEM ET CIRCENSEM

Parlare del Teatro e dell’Anfiteatro di Milano significa, prima di tutto, parlare di Alda Levi.

Tra le prime donne ad avere un ruolo nella Sovraintendenza dei Beni Culturali di cui fu, fra il 1925 ed il 1938, responsabile unica per il territorio lombardo e al suo lavoro si devono scoperte e riconoscimenti fondamentali soprattutto per quanto riguarda il passato romano della regione.
Nonostante un lavoro di primissimo livello – su reperti di quel glorioso passato imperiale che tanto piaceva al regime – quando LVI nel 1938 vara le leggi razziali è costretta a lasciare il lavoro.

Trascorre gli anni della guerra a Roma, sotto costante minaccia, vuoi perchè ebrea, vuoi perchè sposata con l’archeologo Vittorio Spinazzola, responsabile di fondamentali scoperte a Pompei ma cacciato dagli scavi nel 1923 perchè critico nei confronti di Mussolini.

Prima che LVI e la sua banda di criminali e lacchè la cacciassero, Alda Levi fu protagonista di alcuni straordinari ritrovamenti a Milano, tra cui nel 1929, durante la costruzione del palazzo della Borsa, i resti delle fondamenta del Teatro Romano e poi, nel 1931, i resti dell’anfiteatro.
Reintegrata nel 1945, Alda Levi muore nel 1950 a Roma, senza avere la possibilità di vedere musealizzate le due grandi scoperte milanesi che saranno aperte alla cittadinanza quasi mezzo secolo più tardi.

Muri radiali delle fondazioni

La storia del Museo Sensibile del Teatro Romano è quasi altrettanto interessante.
Sebbene solo nel ‘29, come sappiamo, sarebbe stato riconosciuto il teatro, sin dalla costruzione del proprio Palazzo, nel 1880, la famiglia Turati si rese conto di aver acquistato assieme al terreno una vera e propria miniera di statuaria romana.

Andrea Preti, il funzionario della Camera di Commercio che mi guida nel Museo, mi spiega che proprio in questi primi anni gran parte dei reperti più belli fu utilizzata dai Turati come moneta di scambio.

– Erano invitati a un matrimonio importante? – mi dice – Portavano in dono una bella statua. Dovevano ingraziarsi un cliente particolarmente facoltoso? Gli regalavano qualche moneta di età imperiale…

Insomma, dove non era arrivato il Barbarossa arrivò un approccio abbastanza libero alla conservazione del patrimonio.

Il Barbarossa, sì, che non può mai mancare nelle vicende milanesi.

Il teatro è stato probabilmente uno degli edifici più longevi della romanità milanese: eretto in età augustea, cessati gli spettacoli fu luogo di assemblea del Comune rimanendo il attività per un millennio buono.
Ma nel dodicesimo secolo Milano, nell’ambito delle lotte di potere che dilaniavano l’Italia settentrionale e Roma, attaccò e distrusse Lodi, fedelissima alleata dell imperatore.
Che al Barbarossa fregasse qualcosa di Lodi, sapendo che la raspadüra [https://mangiaregione.it/raspadura-lodigiana/] non l’avevano ancora inventata, lo credo poco. Ma l’orgoglio imperiale è quello che è e Federico non poteva lasciare impunita la provocazione.
E così nel 1162, dopo un assedio estenuante, Milano dovete aprire le sue porte alle truppe del Barbarossa che avevano l’ordine di radere al suolo La città non lasciando pietra su pietra. Vuoi per la particolare imponenza dell’edificio, vuoi perché ne conosceva l’uso come stava assembleare, Federico chiesa di dedicare particolare attenzione alla distruzione dell’Antico teatro di cui ogni traccia fu cancellata per oltre sette secoli.

Muri radiali delle fondamenta

Tra la distruzione del 1163 e i primi ritrovamenti del 1880, la zona ospitò chiese (San Vittore al Teatro), botteghe e case di umile abitazione, edifici che riutilizzarono gran parte delle superstiti pietre dell’alzato.
Ciò che vediamo oggi, in realtà, è ciò che i romani non potevano vedere: le fondamenta della cavea e di parte del grande muro scenico.

Il forno (panem et circensem)

L’allestimento, tuttavia, è pensato per riportare alla luce i fasti del teatro imperiale, portando i visitatori ad immergersi nella storia con tutti i sensi.
Questo è il significato di Museo Sensibile: un allestimento che coinvolge la vista (grazie alla splendida illuminazione delle rovine), l’udito (grazie alle guide, ovviamente, ma anche alle registrazioni di grandi del teatro che cercano di ricostruire la recitazione romana) e persino l’olfatto (ma qui lascio che siate voi a farvi condurre tra gli odori di umanità e i profumi di rosa e zafferano).

Muri delle fondazioni e passerella

Certo, io ho avuto la fortuna di essere da solo a visitare il teatro e ho potuto godermi in tutta tranquillità il racconto di Preti – che del museo è stato anche artefice.

Dopo una sala introduttiva che illustra nel dettaglio le tecniche costruttive romane, si entra nel vero e proprio museo dove una passerella in vetro e metallo consente di sorvolare i resti dell’edificio illuminati da luci drammatiche che aiutano ad immergersi nell’esperienza nascondendo il prosaico sfondo costituito dalle pareti dello scantinato.

A meno che non abbiate fatto le elementari negli anni 2000, è probabile che non abbiate mai saputo nulla di questo museo, che è tra i meglio nascosti di Milano.
Dalla sua apertura fino a pochi anni fa l’apertura del museo era garantita dalle guide dell’Università Cattolica ma, in tempi di spending review, sono stati radicalmente ridotti i fondi e ora il museo è visitabile solamente su prenotazione grazie al lavoro volontario di alcuni funzionari della Camera di Commercio (contattateli qui, è un’esperienza da non perdere).
In questa situazione, è chiaro, il museo ha orari limitati e non viene più di tanto pubblicizzato ma i volontari sono comunque in grado di garantire l’accesso al sito a centinaia di classi delle scuole elementari e medie delle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza.

Colonne

Accanto a Palazzo Turati, nella sede della Borsa Valori, sono conservati ulteriori reperti del teatro,forse i più interessanti dal momneto che vi sono anche resti delle decorazioni musive del pavimento, ma non è possibile accedervi liberamente quindi, a malincuore, lasciamoci alle spalle Piazza Affari e andiamo verso Sud.

Poco più di un kilometro, che vale la pena di percorrere a piedi attraverso il suggestivo quartiere delle Cinque Vie. Questa è la distanza che separa il museo del Teatro dall’Antiquarium Alda Levi – Parco dell’Anfiteatro Romano. Poco più di un kilometro, in senso geografico, ma qualche secolo dal punto di vista museografico.

Ho lavorato in Corso Italia dal 2011 al 2015. Per arrivare in ufficio, quando il clima sconsigliava l’uso di Aiko, scendevo dal tram in Piazza della Resistenza Partigiana e percorrevo via Molino delle Armi a piedi.
Spesso mi capitava di buttare un occhio all’edificio sede dell’antiquarium (uno dei tanti ex conventi di cui è pieno il centro di Milano), perchè è anche sede di un teatro per l’infanzia cui probabilmente debbo il mio amore per la scena.

Vi mentirei se vi dicessi di essermi mai accorto della piccola targa che annuncia la presenza del museo e dei reperti. Solo le ricerche per il Motografo mi hanno portato, finalmente, a capire dove fosse l’ingresso e quali gli orari.

Mura radiali

E così un sabato mattina alle 12.30 mi presento sulla porta, la varco e mi guardo in giro spaesato.
Indicazioni? Figuriamoci, saremo mica dei Tedeschi che han bisogno le indicazioni. Noi Italiani preferiamo improvvisare. E, in effetti, improvvisando trovo il passaggio che conduce al parco e a ciò che resta dell’enorme arena milanese.

Mura radiali

Enorme,sì. Gli studiosi ritengono che il nostro fosse tra gli anfiteatri più grandi dell’impero, secondo solo al Colosseo e a quello di Capua.

Fa impressione pensare che l’area dell’anfiteatro, che oggi è considerata molto centrale, si trovasse al di là delle mura, fuori dall’abitato, appena a sud del Palazzo Imperiale.

I resti portati alla luce sono musealizzati in un parco che sarebbe tra i più belli della zona, se solo fosse più accessibile. I raggi delle fondamenta dell’ellisse dell’arena, sebbene recintati per proteggerli, dialogano con l’andamento dolcemente ondulato del terreno e con le piante – in fiore in questa mattinata di primavera – creando un ambiente sereno e rilassante.
Scatto qualche foto, leggo i cartelli esplicativi e cerco di ricostruire – in vano – nella mia mente l’effetto che poteva fare la mole dello stadio nella campagna milanese.

Parco dell'anfiteatro e chiesa dei Rumeni

Fiorellini

Torno nel chiostro dell’ex convento e trovo finalmente l’ingresso dell’antiquarium con i suoii due custodi.
Non mi piace attaccare il lavoro delle persone, che va sempre rispettato, quindi mi limiterò a dire che la sensazione era quella di essermi seduto al tavolo di un tipico ristorante ligure.
Chissenefrega, entro e inizio la mia visita.
L’antiquarium mi risulta aperto nel 2004 ma, in tutta onestà, l’allestimento sembra fatto secondo una logica di metà del ‘900. Accumuli di reperti in anonime teche di vetro e cartellini esplicativi poco o nulla esaustivi.
La collezione è piccola, ma il suo pezzo forte, la stele funeraria del gladiatore Urbico, vale da sola la visita (che per altro è gratuita).

Stele del gladiatore Urbico

A Urbico, inseguitore di prima posizione, di origine fiorentino, che combattè tredici volte, visse ventidue anni; Olimpia (sua) figlia che lasciò a cinque mesi, e la figlia Fortune(n)se, e la moglie Lauricia (dedicano), al marito che ha ben meritato, con cui visse sette anni. Ti avverto, chiunque tu sia che uccidi che hai vinto. I suoi tifosi terranno viva la sua memoria

Stele del gladiatore Urbico

Da un lato mi communovo – con quei 2000 anni di ritardo – per la famiglia del povero Urbico, dall’altro trovo affascinante che anche i gladiatori, gli schiavi come era probabilmente Urbico, avessero degli appassionati tifosi che ne terranno viva la memoria, proprio come i nostri pugili, motociclisti o piloti di F1.

Ma mentre penso tutto questo una voce alle mie spalle:

– Stiamo chiudendo!

Guardo l’ora: le 13.40. Il museo chiuderebbe alle 14.00, ma va bè…

– Sì, faccio una foto e ci sono.
– Sì, ma in fretta, per favore, che dobbiamo chiudere.

Odio che mi si metta ansia, ma capisco che il rispetto degli orari sia importante…
Mi affretto, scatto alla come viene ed esco.
Passo alla e appena varco la soglia la sento chiudersi alle mie spalle con tanto di quattro mandate di serratura, catenaccio e paletto.
Peccato che siano le 13.45, un abbondante quarto d’ora di anticipo sugli orari di chiusura del museo.

Il paragone tra i due musei non potrebbe essere più stridente.
Da utente posso dire che quasi sempre mi sono trovato meglio là dove a gestire l’accoglienza e le visite sono i volontari, ma da studioso non mi sfugge il problema.
Il volontariato è una nobilissima attività che troppo spesso funge da scusa per le istituzioni per non pagare i professionisti (le guide) o per giustificare chiusure inaspettate, orari di apertura improbabili o servizi ridotti all’osso.
E però, al tempo stesso, non capisco come si possa pensare di dotare un museo – un museo che dovrebbe essere un fiore all’occhiello di una città – di personale così vistosamente disinteressato (e per giunta scortese). Ci deve, mi ripeto, essere una virtuosa via di mezzo. Deve esistere il modo di selezionare del personale regolarmente assunto e pagato che sappia, allo stesso tempo, sviluppare un amore ed un legame con la propria istituzione, con il monumento, il museo, l’opera che protegge e divulga.

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Tutte le fotografie del Teatro Romano appaiono con l’autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali – Sovraintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano e non possono essere ulteriormente riprodotte.
Per tutte le altre foto vale come al solito la CC attribuzione, non commerciale, no opere derivate.

[ssba]

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