Italia, Lombardia, Speciale Navigli di Milano

LE CONCHE DEL NAVIGLIO PAVESE

Per tutti i Milanesi il “Naviglio dei Barconi” è la classica cornice degli aperitivi. Una scenografia folkloristica e un po’ positiccia che inizia in Darsena e finisce un kilometro più in là, alla Conchetta.
Ma solo pochi conoscono la sua storia.
Io per primo la ignoro del tutto.

Ma è domenica mattina, sono sveglio presto e non so che fare, così mentre faccio colazione mi studio un po’ di siti e scopro una vicenda tutto sommato breve (rispetto a quella del Naviglio Grande), ma affascinante come poche.

Il sogno di una via d’acqua navigabile per collegare Milano al Po – e di conseguenza al mare – risale almeno al ‘400, ma la sua realizzazione inizia solo nel 1600 quando Filippo il Pio finanzia un progetto voluto dal Governatore Fuentes.
Come l’inventore del panettone e quello del risotto giallo, Fuentes può vantarsi di essere l’iniziatore di una tradizione milanese sopravvissuta sino ai giorni nostri.
In particolare, il Fuentes ha inventato la tradizione dell’opera pubblica incompiuta.
Erano state scavate appena due miglia di canale quando fece costruire un monumento per celebrare il collegamento navigabile dei laghi con il mare, peccato che da quel momento in poi i lavori si sarebbero fermati come scavi del Passante ante litteram.
Ci vorranno prima Napoleone e poi gli Austriaci – e un paio di secoli – per vincere le resistenze dei Pavesi e completare finalmente lo scavo.

Ok, affascinante magari è un’espressione un po’ forte ma, ve l’ho detto, è domenica mattina, è Agosto e io non ho nulla da fare.

E così dopo pochi minuti sono in moto, con un progetto in testa.
Fotografare tutte le conche del Naviglio Pavese da Rozzano fino al Ticino.

Progetto che, ovviamente, va in vacca già alla prima tappa.

So che esiste una conca a Rozzano. L’ho vista anni fa dal balcone di casa di un amico, ma per quanto io giri come uno scemo per mezzora non riesco più a trovarla. E non ci riuscirò mai più, nemmeno negli anni seguenti.

Le conche – non chiamatele chiuse, che sono tutta un’altra roba – sono la caratteristica principale del Naviglio di Pavia.
Il Grande e la Martesana arrivano a Milano completamente liberi. Le loro correnti, salvo cedere acqua alla fitta rete di canali che irriga la pianura, non sono regolate e scorrono senza intoppo dall’incile a Milano.
Sul canale che scende a Pavia non è così. Per consentire ai barconi di superare controcorrente i cinquanta metri di dislivello, sono necessarie ben dodici conche.

La conca di Moirago, invece, è proprio sulla strada. È una bella struttura. Solida, ben ristrutturata con lo stile usato a Milano per la Fallata e la Conchetta. C’ha pure i cespugli fioriti davanti alla casetta del custode. Ma appena entro in provincia di Pavia la musica cambia completamente.

A Casarile la conca è abbandonata e arrugginita. Mentre la fotografo incontro il Signor Vito.

Interno della cabina di manovraVito è il titolare di una carrozzeria che si affaccia proprio sul naviglio e che mi chiede se lavoro per qualche ente, se per caso – finalmente – si sta pensando a una riqualificazione del Naviglio. Cabina di manovra e la carrozzeria del signor Vito

Vito è arrivato a Casarile dalla Puglia negli anni ’60. Ha aperto l’officina e, quando è nata sua figlia, ha piantato un albero di fichi neri. Me ne offre un paio mentre mi mostra la jaguar d’epoca che sta restaurando a tempo perso.

***Voglio essere onesto. Sono una bestia. Avevo perso per strada anche questa conca. Il mio incontro con il Signor Vito risale a un paio di anni dopo le vicende narrate sin qui***

Oggi fa caldo e c’è un bel sole, il cielo è limpido e l’aria tersa come raramente capita da queste parti, ma posso facilmente immaginare questi luoghi avvolti nella nebbia e nel gelo di Novembre, le shilouette scheletriche dei pioppi spogli sfocate sullo sfondo, l’urlo della cascata come basso continuo e l’inquietudine che stringe la bocca dello stomaco del malcapitato passante.

Amici cinematografari! Datemi orecchio!
Volete cavalcare il successo di The Walking Dead? Stracciare al botteghino Shutter Island? Superare gli ascolti di Les Revenantes?
Mollate i set posticci di Cinecittà, al diavolo i teatri di posa e le location, venite a Certosa di Pavia!

Girando tra le strutture arrugginite della vecchia conca mi convinco che qui si deve essere abbattuta una qualche sciagura sovrannaturale. Un rapimento alieno, un’apocalisse zombie.
Qui nel 1965 non hanno deciso di cessare l’esercizio. Hanno semplicemente chiuso la conca la sera per andare a casa e tornare l’indomani. Un indomani che ancora non è giunto.
Nel casello di comando ci sono giornali, tolle di lubrificante, un pacchetto di Nazionali filtro e altra roba ancora. I bacini sono accessibili. Basta scavalcare mezzo metro di ringhiera rugginosa e ci si può sedere sul molo che li separa, con i piedi a penzoloni mentre quattro metri sotto, nel bacino libero, il Naviglio mugghia dopo il salto.
***Ah, già che siete a Certosa, mi raccomando, non perdete l’occasione di visitare la splendida abbazia che dà il nome al paese!***

0021 - Conca di Pavia Borgarello - Giunto delle rotaie della porta di uscita del bacino di scorrimento

Questa sensazione di abbandono sarà tipica di tutte le conche da qui in poi. Da quella piccola di Borgarello, nelle cui acque un carrellino da trasporto arrugginisce indisturbato da cinquant’anni, alla grande conca doppia della confluenza. Monumentale. Che potenzialmente potrebbe essere il centro di una meravigliosa area verde e storica. E che si affaccia, invece, su ciò che rimane della darsena di Pavia: rovine di cemento e ferro rugginoso tra sterpaglie e robinie.

La storia dice che i pavesi sono sempre stati ostili al progetto del Naviglio e che, in un certo senso, l’hanno sempre vissuto come un corpo estraneo. Può sembrare un’esagerazione. Eppure ne ho avuto le prove proprio oggi.
La mia famiglia è originaria di queste parti e ho dei cugini che abitano proprio in città.
Cinquecento metri da qui in linea d’aria, per l’esattezza.
È tanto che non li vedo, e allora telefono a Cugino R.

0037 - Conca di Viale Venezia Viale Partigiani - Acqua a valle con la conca della confluenza sullo sfondo

<<Cugino R.! Ciao, sono Il Motografo! Sono a Pavia. Se sei a casa magari passo a trovarti.>>
<<Volentieri. Sai arrivare qui da noi?>>
<<No, ma non sono lontano mi pare. Sono alla vecchia darsena. Dove il Naviglio sfocia in Ticino>>
<<Eh? Non ho mica capito…>>
<<Dai, Viale Venezia, dove c’è la mega-chiusa del Naviglio…>>
<<…uh…>>
<<Vabbè, Cugino R., vabbè… dimmi solo l’indirizzo preciso che lo cerco sulla mappa!>>

Itinerario originariamente percorso ad Agosto 2010, con ripetizioni e integrazioni negli anni successivi.
Circa 50 km (A-R)

Per seguire tutti gli itinerari del Motografo lungo i Navigli puoi partire dallo Speciale Navigli di Milano.

Francia, Speciale Provenza

SPECIALE PROVENZA: INTRO

(Agosto 2014)

Ma vai in Provenza da solo?
Ma sei sicuro?
Ma perché non vai con Amico A.?

Sì, guarda… Ho proprio bisogno di stare da solo, di mettermi alla prova…

Balle!

Sì, certo, ho bisogno di uscire dalla mia comfort zone, ma non è la solitudine la prova vera.
La verità è che io una vacanza del genere non l’ho mai fatta.
Che ne so se mi piace o no?
E se arrivato a Nizza e scoprissi di essere troppo stanco per andare avanti a guidare?
E se tornare in Camargue mi facesse troppo male? Se impazzissi e decidessi di arrivare fino a Parigi?

E poi, diciamolo, Amico A. è una delle persone a cui voglio più bene al mondo.
Probabilmente l’unica persona con cui andrei davvero in vacanza quest’anno.
L’unico con cui penso di condividere l’approccio che voglio tenere in questo viaggio.
Se avesse una moto sua.
Ma se devo caricarmi qualcuno sul sedile di dietro, con cui non mi posso dare il cambio alla guida, se devo rinunciare a metà dello spazio delle borse, beh…
Diciamo che una mutua attrazione fisica è un requisito inderogabile. Una coppa C o maggiore un plus ai fini della selezione.

Che poi non è vero che non ho mai fatto le vacanze in moto.
Una volta l’ho fatto. Nel 1993, da passeggero con mio padre. In Sicilia.
Su una clamorosa Guzzi 650 nera di seconda mano.
Con quel bel motore a V di 90° che per me rappresenta l’archetipo della moto.
In realtà era un polmone pazzesco. 140 km/h di velocità di punta (scarica, senza parabrezza e con pilota leggero) e delle vibrazioni che sento ancora oggi nel coccige.

Forse è per quello che ho un po’ paura.
E poi non ho mai guidato così tanto. Né fatto così tanta montagna…

Questo lo stato d’animo fino alla sera prima della partenza.
La moto è a posto. Gomme appena rodate, sospensioni nuove di pacca. L’ho pure fatta lavare.
Le borse… Ehm… Ecco… come nuove no, ma le ho riparate con cura.

rivetto

Programma di massima salvato su dropbox. Di prenotato c’è solo l’albergo per la prima notte.

Sveglia presto ma non troppo, attacco le borse, stringo le cinghie, telepass ancorato sul manubrio (non funzionerà ai caselli liguri, come sempre); sosta al bar per caffè cornetto e spremuta – quasi a voler allontanare ancora un po’ il momento della verità – e sono in strada.

Il Turchino è tra le strade che conosco meno, e ogni volta che la percorro mi sorprendo – abituato come sono alla serravalle – di quanto larga e dolce possa essere una strada che attraversa montagne così aspre.

Genova, appena sfiorata, quel lunghissimo viadotto che prende il nome di Autostrada dei Fiori. Un pieno ad Imperia ed è subito Francia.

Prima di quanto mi aspettassi. Molto prima.

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NIZZA
VERSO CASTELLANE
LE GOLE DEL VERDON
DA CASTELLANE A ORANGE – L’ABBAZIA DI SENANQUE
LA VAUCLUSE E LE ALPILLES: ORANGE, VAISON-LA-ROMAINE, IL MONT VENTOUX, PERNES LES FONTAINES E BAUX DE PROVENCE
ORANGE – PONT DU GARD – ABBAZIA TROGLODITICA DI SAINT-ROMAN – ARLES
NIMES
DA ARLES A LES-SAINTES-MARIES-DE-LA-MER
LA LAGUNA DI LES-SAINTES-MARIES-DE-LA-MER
LA CAMARGUE ARLESIENNE: SALIN DE GIRAUD E LA PLAGE DE PIERMANSON
LA CAMARGUE GARDOISE: LA TOUR CARBONIERRE E IL MARAIS, AIGUES MORTES E LA GRANDE MOTTE
CALANQUE DE FIGUEROLLES A LA CIOTAT
CALANQUE DE PORT PIN
UN RICORDO D’INFANZIA SULLA VIA DEL RITORNO

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Italia, Lombardia, Speciale Navigli di Milano

SPECIALE NAVIGLI: INTRO

Attorno ai Navigli di Milano c’è una coltre di ignoranza spessa quanto la nebbia che li avvolge in Autunno.
Giuro. Provate a chiedere informazioni a un passante qualsiasi.
Qualcuno vi dirà che sono fiumi (falso, sono canali artificiali aperti tra il XII e il XIX secolo).
Qualcuno vi dirà che li ha progettati Da Vinci (vero solo in parte, Leonardo si è occupato di alcuni lavori sul Naviglio Grande e ha contribuito a studiare tracciati e infrastrutture della Martesana).
Provate poi a chiedere da dove arriva l’acqua, o dove va…

Persino io, che passo un sacco di tempo a remare nelle acque dei canali, ignoravo completamente dove fosse la confluenza tra il Naviglio Pavese e il Ticino, dove fosse l’incile del Naviglio Grande e – per altro – che cosa diavolo fosse un incile.

Però sono convinto che la rete dei canali, oltre a caratterizzare l’aspetto della pianura lombarda, sia anche una risorsa turistica inesplorata.
Ok, smettetela di ridere adesso. Lo so, voi da bravi italiani in vacanza andate al mare. Al limite in montagna. A visitare le capitali europee o le città d’arte. Che ve ne può mai fregare di un canale ottocentesco che attraversa un’umida pianura?
C’avete ragione. Lo so. Ma dimenticate che, grazie al cielo, al mondo esistono i tedeschi.
Nel 2013 ero in vacanza in Svezia. Attraversando l’entroterra in auto, ad un certo punto, capito nei pressi di Linköping, lungo il corso dello Göta Kanal, proprio sulla conca di Berg. Strana sensazione di Deja Vu. il canale sembra proprio il naviglio pavese, la conca è indistinguibile da quella di Viale Sicilia a Pavia.

Eppure è anche tutto diverso. Il canale non è in rovina. E mentre parcheggio per prendermi un caffè, all’orizzonte compare una nave. Una nave vera e propria. Carica a tappo di pensionati tedeschi in crociera. Che, nell’attesa che la barca attraversi la conca, scendono e svaligiano il bar. Lasciando gli scaffali vuoti e la cassa piena.
Berg - Göta Kanal - Battello nella chiusa

E lo stesso avviene negli alberghi lungo i 190 kilometri del canale, nei ristoranti, nei negozi di souvenir.
E inizio a sognare. Sogno una rete di navigli ristrutturata, in grado di caricare i tedeschi a Stresa o a Laveno e di portarli fino a Ravenna, Chioggia, Venezia.
Sogno orde di tedeschi festosi con sandali e calzini che invadono il castello di Abbiategrasso. Li immagino, inconsapevoli del biasimo che suscitano, pasteggiare a cappuccino in Porta Ticinese, li sento esclamare “wunderbar” mentre sciamano felici nel centro di Mantova e di Cremona.

E niente. Poi mi sveglio e vedo le solite sponde mezze crollate. Le solite conche abbandonate. I soliti sbarramenti per impedire la navigazione. E soprattutto al bar nessuno mi vende una Kanelbulle fatta come si deve.

Segui il Motografo lungo i navigli: sugli argini del Naviglio Grande, tra le conche del Naviglio Pavese, sulle sponde dell’antico Naviglio di Bereguardo e tra le opere d’arte della Martesana

Italia, Lombardia

SABBIONETA

Circa 350 km: Milano – Sabbioneta (via A1) – Mantova – Crema – Milano

Nei pressi di Crema c’è una rotonda che è il centro geometrico della pianura lombarda.
È a poco meno di 50 km da Milano, da Brescia, da Pavia, Bergamo e Cremona.
Non ha nessuna particolare attrattiva, ma è affascinante questa bizzarra equidistanza.
Al centro di questa rotonda dovremmo mettere un monumento. Un monumento che celebri la gloria e l’importanza di quella che è ormai la vera figura caratterizzante della provincia lombarda: l’artigiano con il Daily.

Propongo di realizzare sull’aiuola al centro della giratoria un gruppo di marmi in stile canoviano rappresentante un bel furgonato promiscuo sette posti attorniato da un gruppo di operai intenti ad aprire il selciato con il martello pneumatico o ad impastare cemento.

Ma, naturalmente, non era questa rotonda al centro del mondo la meta della gita di oggi.
Accompagnato da F., stamattina ho diretto Aiko verso sud, lungo la A1, fino al confine tra le province di Parma e Mantova. A Sabbioneta.

Sabbioneta - Antico e ModernoDopo anni di attesa, finalmente, varco la cinta muraria di mattoni rossi attraverso la porta imperiale. Finalmente perché Sabbioneta è stata una mia ossessione sin dai tempi dell’università. Il suo teatro “all’antica” è il primo edificio costruito ad hoc per il teatro nell’Europa moderna. Un luogo che dovrebbe essere – e non è – una sorta di mecca per gli studiosi e gli amanti del teatro di tutto il mondo. La prima cosa di cui F. ed io ci rendiamo conto è che Sabbioneta è molto più piccola di come la immaginassimo. Coi suoi quattromila abitanti sarebbe poco più di un grumo di case ammucchiate nella pianura, se avesse avuto il normale sviluppo dei paesi di queste parti. Invece fu capitale di uno stato cuscinetto legato ai Gonzaga, governato da un duca megalomane e geniale, che ne volle fare la città ideale. Un delirio umanistico-rinascimentale meraviglioso, fatto di strade ampie, palazzi ricchissimi e chiese piene di marmi ed affreschi perfettamente racchiuse da una cinta muraria a stella che si staglia sull’orizzonte del tutto piatto. E così dopo anni a contemplarne la mappa sulle pagine del Bosisio, metto finalmente piede nel teatro scamozziano. Per un attimo mi manca l’aria. Sarà il profumo del legno dei gradoni della cavea, sarà la fuga prospettica della scena. O forse è la qualità della luce che entra dai finestroni laterali. O forse è solo che sono un frignone, ma trovo quasi commuovente il primo impatto con la sala. Ciò che mi interessava di più era la gradinata della cavea. Vedere la sua forma a “lira”, ma quello che mi lascia davvero a bocca aperta è la scena prospettica che fugge veloce verso il fondale. Sabbioneta - Fuga prospettica del Teatro Scamozziano

Dopo il teatro, la vera scoperta di questa giornata a Sabbioneta è l’accostamento dei tortelli di zucca con il sugo di pomodoro. Non me l’aspettavo ma non sta mica male.
E mentre mangiamo F. mi rivela un segreto sui tortelli di zucca: la mentina sbriciolata nel ripieno (che scopro essere variazione tipicamente cremasca).

San Matteo delle Chiaviche - Barca

San Matteo delle Chiaviche (ehi, voi della Provincia di Mantova… Che ne dite di valutare un rebranding di questa zona?) è la porta per il parco dell’Oglio.
Belle strade arginali, immerse nel verde intenso di una campagna morbida, con curve e dolci saliscendi che seguono l’andamentro delle sponde del fiume.
Prima di tornare a Milano ne approfittiamo per un’ultima breve sosta, per qualche foto e quattro passi nel bosco di salici, in prossimità del bel ponte di barche di Torre d’Oglio.