L’IMPERO COLPISCE ANCORA – BIPOLARISMO ALLA ROMANA

Sin da quando ero bambino l’idea degli scavi archeologici mi ha meravigliato ed affascinato.
Affascinato, ovviamente, perchè l’idea di scoprire i segreti dell’antichità e rivoluzionare la conoscenza della storia non può lasciare indifferente un ragazzino.
Meravigliato, perchè ho sempre fatto fatica a capire come mai i reperti antichi andassero cercati sotto il suolo. Ancora oggi, se devo essere onesto, non me lo spiego fino in fondo, ma evidentemente funziona, mi tocca farmene una ragione.

L’area tra Via Brisa e Via Gorani è un esempio plastico, lampante, della stratificazione archeologica della città.
La grande piazza pedonale, dominata dai nuovi lussuosi edifici di cui parlavo l’ultima volta, fino al 1943 era occupata dal Palazzo Gorani, devastato dai bombardamenti inglesi e rimasto in rovina per quasi mezzo secolo.

La torre medievale – ultima superstite della foresta di torri e torrette in mattoni che caratterizzava la Milano del periodo comunale – svetta ancora al centro della piazza, proiettando la sua ombra sugli scavi del Palazzo Imperiale di Massimiano, rivelati dai lavori stradali che negli anni ‘50 avrebbero dovuto liberare la piazza dalle macerie e dal peso della storia trasformandone l’aspetto e la viabilità.

Palazzo Imperiale di Milano - La torre dei Gorani

Via Brisa, o meglio ancora lo stretto passaggio dietro la pasticceria Marchesi – sono quasi dei portali tra due mondi.

Attraversarli vuole dire lasciarsi alle spalle Corso Magenta e Via Meravigli, i negozi, lo stridore dei freni del Tram, i motorini fermi al semaforo, il passeggio pomeridiano ed entrare in uno di quegli spazi sospesi di cui il centro di Milano è particolarmente ricco.
Pochissimi passanti, ancor meno le auto.
I rumori del traffico sono ovattati, distanti. Solo ogni tanto un colpo di clacson riesce a filtrare ricordandoci che siamo nel centro di una grande città.
Inoltrandomi in questo quartiere ho l’istinto di abbassare la voce e camminare in punta di piedi.
Quasi mi metterei le pattine per non lasciare impronte.

In una sorta di fossa recintata, regno indiscusso di una colonia di serafici gattoni ben pasciuti, i resti delle fondamenta del Palazzo imperiale si mostrano ai pochi visitatori, tra i reperti più leggibili della Milano Romana.

Palazzo Imperiale di Milano - Panorama da Via Gorani

Più in là, da una vetrata che affaccia sulla piazza, si intravedono, se la luce cade bene, i lacerti di un mosaico, trovato di recente e conservato nel seminterrato del nuovo edificio residenziale di via Gorani 4.
Se fossi miliardario in petroldollari comprerei un appartamento qui solo per non dover lottare con i riflessi di questo vetro blindato mentre cerco di fotografare il reperto.

Palazzo Imperiale di Milano - Il mosaico di Via Gorani 4

Quello che vediamo oggi è una piccolissima parte del palazzo, che dall’odierno Corso Magenta arrivava a lambire il Cardo Minore (Via Torino), occupando sostanzialmente tutto il quartiere delle cinque vie.

Palazzo Imperiale di Milano - Panorama arrivando da corso magenta

Si tratta di una serie di ambienti elegantissimi, caratterizzati da absidi semicircolari e collegati da una sala rotonda, presumibilmente colonnata.
Sembra ormai dimostrato che tutti gli ambienti del palazzo fossero riscaldati tramite camere di combustione e condotti per l’aria calda sotto i pavimenti.
Sebbene questo Febbraio sia stato più autunnale che invernale, il clima di oggi è umido e freddo e sarei felice se questo sistema ingegnoso ricominciasse improvvisamente a funzionare.

Palazzo Imperiale di Milano - L'aula absidata

Nel mondo romano gli edifici dedicati allo spettacolo erano molto specializzati, forse più di quanto avvenga oggi.
Il circo oggi lo chiameremmo autodromo. Anzi, parleremmo probabilmente di un circuito da dirt track in terra battuta. I carri si sfidavano in corse velocissime su un ovale dove gli incidenti spettacolari e disastrosi erano parte integrante dello show.
L’anfiteatro, sede di combattimenti tra gladiatori, cacce e battaglie navali oggi lo chiameremmo stadio, palazzetto dello sport. .
Il teatro è, tutto sommato, il luogo di spettacolo che meno ha cambiato la sua funzione dall’antichità ad oggi.

Diversamente dal mondo odierno, però, in epoca imperiale era lo stato, l’imperatore stesso ad offrire lo spettacolo al popolo e a occuparsi della costruzione e della manutenzione delle strutture.
Strutture che, con il loro numero e la loro opulenza, sono un simbolo palpabile della ricchezza e dell’importanza di una città.

Non è probabilmente un caso se il palazzo si trova proprio in mezzo tra il teatro, il circo – la cui unica torre superstite fa capolino tra certi brutti palazzi anni ‘50 alle mie spalle – e, a sud, l’anfiteatro.
E forse non è un caso nemeno il luogo scelto per costruire il palazzo. Teatro e anfiteatro esistevano già prima che Diocleziano instaurasse la tetrarchia portando Milano al centro dell’Impero e deve essere parso naturale posizionare il palazzo del potere proprio in mezzo tra le due strutture esistenti e il nuovo, magnifico circo donato dall’Augusto Massimiano alla sua città d’elezione.

Palazzo Imperiale di Milano - La torre del circo

Non sono uno storico, quindi prendete quello che dico con la dovuta cautela, ma sono abbastanza sereno nel dire che una delle principali cause della caduta dell’Impero sia il progressivo ed inarrestabile acquisto di potere da parte della chiesa Cristiana.
L’Imperatore, prima, era un Dio.
Ai nuovi sudditi conquistati non chiedeva, però, di convertirsi in toto al suo culto ma solo di integrarlo nella loro religione.
E, va detto, i politeisti non avevano grossi problemi ad accettarlo, almeno come culto di facciata.

Ma, con quella storia del non avere altro Dio all’infuori di Dio, sin dall’editto di Costantino i Cristiani hanno minato la credibilità di un Imperatore non più divino.
Con Teodosio, poi, hanno negato la libertà religiosa ai popoli sottomessi. Facendoli imbestialire non poco.
In qualche modo il potere ecclesiastico è stato la nemesi del potere Imperiale.

Il Complesso Episcopale, centro nevralgico del cristianesimo milanese sin dall’età imperiale, non poteva dunque che essere la nostra prossima tappa.
Lasciato il palazzo, quindi, risaliamo lungo Corso Magenta fino a Piazza Cordusio e poi al Duomo.

Al battistero di Santo Stefano, risalente forse al periodo di Diocleziano, ed alla Basilica Vetus, Sant’Ambrogio volle affiancare il fonte battesimale di San Giovanni, dove nel 387 battezzò Agostino e la Basilica Nova, ricostruita successivamente ed intitolata a Santa Tecla.

Naturalmente in superficie non ne rimane traccia. Tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, infatti, l’avvio dei lavori del Duomo ne ha determinato la completa cancellazione.

Secoli di abbattimenti e ricostruzioni hanno progressivamente cancellato anche la memoria del complesso, sopravvissuta solo nella piccolissima via Santa Tecla e nel club omonimo, dove iniziarono a esibirsi Gaber, Iannacci e molti altri.

Ma se è il dinamismo edilizio della città ad avere la responsabilità di aver cancellato il complesso, suo è anche il merito di averlo riportato alla luce. L’abbattimento del Rebecchino, nell’800, e la costruzione della Metropolitana uno, poi, lo hanno progressivamente riportato alla luce. Vero è che nell’800 non si è andati tanto per il sottile. Non solo nessuno ha pensato di musealizzare i resti, forse non riconoscendoli, addirittura contestualmente al Rebecchino è andato giù anche il Coperto dei Figini, nella cui struttura era incorporato l’ultimo tratto superstite delle mura di Santa Tecla.

Ma del resto, nani, siamo a Milano mica a Roma. Se dovessimo star dietro a tutti i sassi con una storia qui non fatturerebbe più nessuno!

Vi ho già detto che visitare i resti romani di Milano non è semplice? Si, eh?
Ecco, questa è l’ennesima dimostrazione.

Stando alle informazioni, una piccola parte dei resti dovrebbe essere visibile nel mezzanino della metropolitana ma nessuno, specialmente non i preparatissimi controllori dell’ATM, è in grado di individuare la teca.
Sono quasi certo di averla vista da bambino ma nei 25 anni trascorsi la stazione è stata completamente ribaltata.

Giro a destra e a manca, chiedo ai controllori, all’edicolante e agli addetti della biglietteria della scala ma nessuno ne sa nulla.
Poco male. Riemergo e vado a far la coda per l’ascensore nord del Duomo (Corso Vittorio Emanuele 2). Non voglio salire a limonare sulle terrazze al tramonto, per lo meno non oggi, ma l’accesso alla vasca dell’antico Battistero di Santo Stefano è proprio accanto all’ascensore.

Faccio la mia bella coda in mezzo alle coppiette, passo la perquisizione dei militari, entro e mi butto subito a sinistra. Sono l’unico, gli altri passano via dritti verso l’ascensore.
Del resto se uno non sa cosa cercare questa porticina e questi due gradini non li vede proprio.

0017 - Battistero di Santo Stefano ad Fontes

Della vasca, ahimè, resta giusto la sagoma e un mezzo metro di muro.
L’allestimento è spoglio, la luce scarseggia e io faccio fatica ad immaginarmi la fastosità di un fonte battesimale descritto con entusiasmo dal poeta Ennodio, che ne vantava la bellezza e l’ingegnosità idraulica.

Esco poco dopo, tra lo stupore dell’addetto che mi ha appena visto entrare.
Non era preparato a gestire un salmone che risale la fila ed è costretto a spostare una di quelle pericolosissime transenne che abbondano nel centro di Milano…

Scoprirò poi che anche per visitare il Battistero di Santo Stefano ad Fontes avrei dovuto pagare un biglietto. Ma non mi sento più di tanto in colpa, tanto l’ho pagato poco dopo.
La maggior parte dei reperti si trova infatti sotto al Duomo e lì il biglietto lo controllano eccome!

Vi ho già detto che visitare i reperti di Mediolanum è complicat… Cosa? Ah, ok, ve l’ho già detto…

Vabbè, insomma, per entrare al Duomo dovete passare dall’arcivescovado (appena oltre Palazzo Reale).
Qui da un po’ è stata spostata la biglietteria del Duomo e di tutti i suoi musei.
Fatto? Bravissimi.
Uscite di nuovo e rimettetevi in coda, stavolta per la cattedrale.

Ogni volta che metto piede nel Duomo mi manca il fiato.
Per enorme ed imponente che possa essere, la mole di marmo rosa svanisce. Il Duomo, all’interno, è fatto di aria. Le colonne sembrano sottilissime, guidano lo sguardo verso l’alto, verso un soffitto così lontano da dare le vertigini.

Ma noi, invece, dobbiamo andare sottoterra.
Una piccola scaletta, sulla parete di entrata, porta ai resti del Battistero di San Giovanni e della chiesa di Santa Tecla.
Stavolta il colpo d’occhio è notevole.
La vasca di San Giovanni, enorme, è al centro dell’allestimento.

0021 - Battistero di San Giovanni alle Fonti

Oltre alla struttura ottagonale del fonte rimangono parti del pavimento che la rendeva impermeabile e alcuni interessanti pezzi dell’opera idraulica che ne consentiva il funzionamento.
Nonostante le protezioni in vetro, qualche genio del male è riuscito a buttare anche qui monetine e persino banconote.
Penso che l’unico modo per far cessare questa idiozia sia far correre la voce che buttare le monete in luoghi che diversi dalla Fontana di Trevi porti male…

0020 - Battistero di San Giovanni alle Fonti

Alle spalle del fonte battesimale, i resti di Santa Tecla.
Dell’antica basilica si conservano non solo le fondamenta, ma anche parti di pavimentazione e persino un pezzetto dell’alzato dell’abside, con l’affresco di un velario tipico delle chiese milanesi dell’epoca.

0022 - Lacerti di affresco di Santa Tecla

Tutto attorno sarcofagi e sepolcri vicinissimi, quando non sovrapposti, testimoniano come l’usanza di farsi seppellire dentro e attorno alle chiese fosse radicatissima.

0018 - Sepolture a Santa Tecla

Questo accumulo di edifici sacri in pochi metri quadrati deve essere qualcosa di tipico del periodo tardo imperiale.
Una sorta di quartiere – enorme rispetto alle dimensioni della città di allora – superspecializzato, interamente dedicato all’esercizio del culto cristiano.

L’avevo già notato a Castelseprio, ma per me la logica di questi accumuli ecclesiastici resta un enigma.

[ssba]

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